«Che
accadrebbe se un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più
solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e
l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e
non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni
pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita
dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione [...].
L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa,
granello della polvere!". Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e
maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un
attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: "Tu sei un dio e
mai intesi cosa più divina"?» (Friedrich
Wilhelm Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 341)
In perfetta linea con
la presentazione della mostra - "Sottolineando la signoria dell’essere umano
sul resto della creazione, il significato del percorso, iniziato con la nascita
della vita, ci conduce al suo sbocco finale, richiamando la filosofia
dell’eterno ritorno, nell’incontro con gli antenati in vista di una rinascita
della vita stessa." - vorrei, innanzi tutto, complimentarmi per il
bellissimo e coerente titolo che ben istruisce sui significati di questo
meraviglioso evento e di poi intraprendere il tentativo di esprimere dei
concetti "palindromi" nel modo di interpretare l'Universo unitamente
al suo contenuto, l'Umanità, ed anche al contrario, l'Umanità unitamente al suo
contenuto, l'Universo, da qualunque parte lo
si cominci ad analizzare: "nulla si conosce interamente finché non vi si è
girato tutto attorno per arrivare al medesimo punto provenendo dalla parte
opposta.(2)"
Incredibile smarrimento percepito nell'affascinante baratro nel dubbio: eterno
divenire o eterno ritorno? Frammentati ricordi liceali mi indicano che in
filosofia e teologia con il concetto di "cosmo" si definisce un sistema di
ordine e di armonia, dalla lingua antica greca κόσμος (kósmos),
opposto a "caos", mentre nel dizionario scientifico "cosmo" è sinonimo di
"Universo", relativamente al "continuum spazio-temporale". E non è semplice
neanche avere delle certezze con il termine "umanità" che può tradursi,
interpretandone con accurata attenzione i vari significati, come l'insieme degli esseri
umani, maschi e femmine, oppure come qualità o sentimento filantropico ed anche
come incontrovertibile emanazione di sintesi gestionale della fenomenologia
relativa all'uomo intorno alla creazione, continua ed infinita, dell'eterno
ritorno.
Ed ecco ritroviamo di nuovo il Museo Africano di Verona produttore e regista in
una nuova ed antica forza reciprocamente simbiotica che ricompone la nobile potenza culturale
etnografica, filosofica, umana e teologica insieme al protagonista noto collezionista
Fabrizio Corsi, innegabile e dirompente "forza didattica" dell'arte tribale
africana! Un raro gioiello culturale è stato appena messo a disposizione sotto
l'attenta vista dei visitatori: un tesoro veramente unico ed irripetibile, pregno di
luminosi simboli e significati evidenti e nascosti, costituito da numerose opere tribali,
tutte rigorosamente originali e vissute per come erano state da sempre concepite,
in ossequio alle antiche tradizioni,
dalle maestranze tribali e dagli scultori della casta dei fabbri dei villaggi.
Il risultato è ineccepibile e chiunque abbia un minimo senso dell'ubicazione
simbolica dell'esistenza dell'essere, inserito nelle metamorfosi
spazio-temporale del divenire, non farà alcuna fatica a comprendere la filosofia
"reale" dell'eterno ritorno e farne un proprio intimo e preziosissimo concetto.
Infatti codesto principio è di per sé stesso, a tutti gli effetti sensibili e
morali, fortemente efficace come una legge valida in un sistema finito con un
tempo infinito, dove è assolutamente naturale il ripetersi di una singola
combinazione infinite volte.
Le opere esposte sono riflesso ed emanazione di una
cultura che va inserita in una semplicità interpretativa concettualmente
istintiva e la filosofia che con semplicità e molta superficialità spesso
intendiamo ad essa accostare - la nostra filosofia "occidentale" per meglio
comprenderci - prevarica la vera condizione effettivamente genuina ed originale
della civiltà tribale africana. In base alle nostre conoscenze, molte volte
abbiamo la presunzione di imporre una "nostra" definizione, che sia a noi ben
accetta, ad uno "status" millenario che si è evoluto in modo diversamente
autogeno e che traccia la sua storia secondo modi, circostanze ed anche condizioni
adeguate e
fedelmente conformi alla propria millenaria cultura ed alle incommensurabili e preziosissime
tradizioni che ne derivano. Citare retorici parallelismi sociologici, religiosi,
teologici o filosofici è un modo egoistico e didattico per educare noi stessi a capire,
accettare, criticare tutto ciò che altrimenti rimarrebbe inesorabilmente sconosciuto. Ma come la poesia
va letta e recitata nella sua lingua originale, nella quale è stata prima concepita e poi
scritta, per comprenderne inequivocabilmente la grandezza, in egual modo, laddove
ed allorquando sarà tradotta in altra lingua, non
avrà giammai la stessa aura poetica. Purtroppo, cambiando lingua, la nobile poesia diventa
irrimediabilmente una mediocre prosa. Pertanto, qualora possiamo evitare di avere la facile
presunzione di tradurre ciò che effettivamente risulta intraducibile,
verosimilmente possiamo accettare, altresì, la melodia trascendentale che emana
dalla cultura tribale, soprattutto nella sua vera natura. La musica non è
schiava della relatività del linguaggio o subordinata ad esso: è universale ed è
tridimensionale nell'ordine e nell'armonia del Cosmo.
Rispettoso silenzio,
dunque, per meglio percepire ciò che hanno da rivelare codesti importanti messaggeri della
tradizione tribale. Da tanto tempo, come si ascolta il "rumore del mare"
accostando una conchiglia all'orecchio, resto in ascolto per percepire chissà
quali sensazioni straordinarie, diventar padrone di quali incredibili segreti,
impossessarmi della loro conoscenza. Ma la loro musica è al di sopra di queste
banalità. Queste opere tribali hanno un solo ed unico grandissimo segreto: sono
una meravigliosa opera dell'uomo e di conseguenza rappresentano l'umanità, esattamente
quell'umanità intesa come incontrovertibile emanazione di sintesi gestionale
della fenomenologia relativa all'uomo intorno alla creazione, continua ed
infinita, dell'eterno ritorno. Un'umanità dove non c'è nulla da tradurre o da
interpretare: è la storia naturale di un essere chiamato "uomo" che urla la sua
umanità, forte del passato attraverso il culto degli antenati e bramoso del
futuro in funzione della fertilità e della progenie, in questa melodiosa armonia
della vita.
Le maschere, le statue degli
antenati, le maternità, gli oggetti e strumenti per l'uso quotidiano, le opere
scultoree
cariche di magnetismo e tutte le espressioni artistiche tribali presenti nella
mostra sembrano emanare quella musicalità, universalmente compresa nella sua
giusta essenza, di cui abbiamo esaminato l'effettiva presenza e la sua suprema
didattica la quale, nonostante assolutamente silenziosa, è effettivamente, nello
stesso tempo, assordante e prorompente.
Per come è evidenziato nella
presentazione, con questa esposizione il Museo africano vuole completare un
‘trittico collaborativo’ avviato insieme a Fabrizio Corsi già con due precedenti
percorsi etnografici presentati negli anni scorsi:
Il Cantico
delle creature
e Il Tempo
ritrovato.
Il progetto consiste nel migliorare la conoscenza del continente africano per
stabilire un dialogo costruttivo e un confronto paritario tra le diverse
culture.
Avendo "vissuto"
personalmente e fisicamente codesto "trittico collaborativo", serenamente posso
esprimere tutta la mia ammirazione ed il mio plauso più sincero ai protagonisti
indiscussi di tali splendide iniziative, il Museo Africano di Verona ed il
collezionista Fabrizio Corsi, ai quali va il mio personale tributo di
riconoscenza quale "umile e modesto compenso" per l'acquisizione di altre e ben
consistenti conoscenze. Quando, anche nei progetti del momento, si parla di
"completare" una qualunque iniziativa, immancabilmente si scivola e ci si adagia
nel sentimento nobilissimo della nostalgia e l'animo è pervaso da una stretta al
cuore tanto forte quanto l'entusiasmo usato per la conduzione e l'esecuzione di
ciò che, in potenza, ci si era preposto di realizzare. Siamo esseri umani definiti tali anche
e soprattutto per merito delle debolezze dei nostri sentimenti, fuorvianti
nell'uso della Logica ma indispensabili nella composizione conclusiva ed
esaustiva del concetto di "Umanità". La chiusura di un "ciclo" sembra pervaso di
tristezza poiché l'animo umano è predisposto per continuare e non per finire;
infatti la tristezza si tramuterà immancabilmente in entusiasmo non appena si
aprirà naturalmente un altro nuovo evento rimarcante l'assoluta periodicità
nella successione e nella ripetizione dei fenomeni. E non si deve tener conto
neppure del periodo di vita ed età biologica: bisogna vivere come se non si
dovesse mai morire. E qui, a mio avviso, è evidente il segreto dell'eterno
ritorno.
Verona, 28 Gennaio 2012
Marcello Lattari