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Marcello Lattari

 

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Pierluigi Peroni: "PUTCHU GUINADJI" - CAVALIERI KOTOKO - TALISMANI CONTRO LA FOLLIA - Dicembre 2010

 

 

 

 

Indice editoriale

 

“PUTCHU GUINADJI”

CAVALIERI KOTOKO - TALISMANI CONTRO LA FOLLIA

 

La pazzia, nel mondo occidentale, è una malattia - purtroppo oggi sempre più diffusa - che deve essere curata, il più delle volte con farmaci; se non è possibile curarla farmacologicamente, occorre aiutare la persona con altre terapie di sostegno di vario genere. In Africa, per contro, la malattia mentale si origina dalla possessione da parte di spiriti malvagi; nel comune sentire africano, infatti, fisica e metafisica non appartengono a piani e mondi diversi, ma sono semplicemente due aspetti apparenti del reale.

Nei vari stati africani la pazzia si combatte in molteplici modi: riti voodoo, sedute spiritiche, cerimonie e danze tribali, statue e maschere, feticci, talismani e oggetti magici dei più vari. La medicina ufficiale non ha spiegazioni, ma questi rimedi molte volte funzionano, almeno secondo l’opinione degli abitanti del continente nero.

Per combattere la pazzia, nella zona del bacino del Lago Ciad si utilizzano i “Cavalieri Kotoko”: i “Putchu Guinadji” come vengono chiamati dalle popolazioni locali. Si tratta di piccole fusioni a cera persa, che rappresentano un cavallo montato da un cavaliere. Sono talismani prodotti e usati in Ciad e nel nord del Camerun, probabilmente anche nel nord est della Nigeria e nel sud est del Niger. Si affidano al malato che li porterà sempre con sé, ogni giorno e per tutto il tempo necessario: fino alla sua completa guarigione e - nei casi sventurati ed inguaribili - fino alla morte. La loro funzione è quella di proteggere il malato di mente, colui che è posseduto dagli spiriti; per questo motivo si chiamano anche “Chevaux de la Folie”, e sono l’ingenua statuina di un cavallo sormontato da un cavaliere, che rappresentano rispettivamente lo spirito posseduto del malato - il cavallo - e lo spirito che lo possiede - il cavaliere.

Queste sculturine portatili rappresentano una delle forme di magia apotropaica africana e sono oggetti “vivi”, nel senso che periodicamente lo spirito viene interrogato e può anche chiedere dei doni, che sono riprodotti in piccola scala e uniti alla statuina: quindi altri talismani vengono aggiunti al talismano principale, e sono a volte di dimensioni anche più grandi di esso. I doni possono essere dei più svariati: contenitori in pelle con oggetti magici misteriosi, pietre, corna di piccole antilopi, ciocche di peli, anelli, corde e lacci, fili, denti di animali; talvolta vi sono anche versetti del Corano racchiusi in piccoli astucci di cuoio, e questo accade quando il guaritore è un marabutto islamico. Purtroppo, nella maggior parte dei casi tutti questi accessori sono andati persi, per mille motivi e soprattutto quelli più fragili e sottili, o sono stati volontariamente rimossi, per ragioni che non ci è dato di conoscere. E’ pertanto assai raro trovare cavallini ancora dotati di questi “doni allo spirito”, interessantissimi dal punto di vista etnografico e antropologico.

Le fusioni possono essere realizzate in ferro, argento, bronzo, stagno o rame. Quelle di bronzo sono le più comuni. Spesso si tratta anche di leghe indecifrabili di metalli poveri. Del resto, in foresta e nei villaggi sperduti non si può ricorrere a fornitori specializzati, difficilmente si trovano metalli puri e di prima scelta, non si compra e spesso si baratta, quindi si deve usare quello che si ha, quello che in qualche modo si riesce a reperire.

Le misure delle statuine Kotoko, per quanto riguarda la loro altezza, possono variare da 2,5 fino a 11 centimetri. Questo, almeno, relativamente ai pezzi da me visti o acquisiti. Non sono in grado di escludere dimensioni diverse. Magari potrà esistere qualche pezzo leggermente più piccolo. Ma avrei dei serissimi dubbi sulla genuinità di eventuali taglie più grandi o, comunque, molto più grandi: la facile trasportabilità del talismano è infatti condizione indispensabile per il suo utilizzo quotidiano, ovunque vada e/o si trovi il malato, e un oggetto troppo ingombrante e pesante complicherebbe ogni cosa.

Pur essendocene anche di disarmati, questi cavalieri sono quasi sempre armati, essendo dei veri e proprio guerrieri. Ecco perché sono anche chiamati “Kotoko Warriors”. In effetti il loro scopo è quello di difendere i malati. E’ per questo che portano spesso un’arma: la maggior parte delle volte è una spada o una sciabola, ma può anche trattarsi di fucili, lance, bastoni, mazze o di altri oggetti difficilmente decifrabili. Il guerriero porta, in più rari casi, anche uno scudo, e questo in ottica esclusivamente difensiva. A volte il cavallo può trasportare un coccodrillo appeso a un lato o su entrambi i lati: anche il coccodrillo rappresenta una sorta di arma, un’arma metaforica ma comunque una dimostrazione di forza e ferocia che possa incutere timore agli spiriti malvagi, allontanandoli dal malato.

Talora il cavaliere porta con sé altri oggetti più comuni, quasi sempre in aggiunta alle “armi” di cui sopra: bisacce, zaini, borracce, recipienti, pesi, corde, utensili vari che sembrerebbero essere di uso quotidiano. Non è dato di conoscere il vero significato di questi oggetti, anche se la mia teoria è che si tratti di tutte quelle “cose” che permettono al guerriero di vivere e sopravvivere, quindi di “durare” più a lungo della follia del malato.

Il volto del personaggio è il più delle volte indefinito, perché gli spiriti non si possono definire. In certi casi l’intero cavaliere è una forma indefinita che sormonta il cavallo; spesso il suo volto ha sembianze falliche. E’ bene, in linea di massima, diffidare dei Kotoko con i visi certi e definiti, anche se potrebbero comunque esserci eccezioni. La documentazione storica è inesistente e la tradizione a trasmissione orale si va perdendo.

Le redini sono sempre tese e staccate, creando così una sorta di foro per consentire di appendere il talismano al collo o alla cintura. Spessissimo le redini sono rotte, trattandosi di una parte sottile e quindi fragile, inoltre logorata e consumata dai lacci che consentono di appendere il pezzo. Il più delle volte il cavallo è equipaggiato di una sola redine, quindi nella maggior parte dei casi il cavaliere ha un solo braccio che guida il cavallo, e quasi sempre l’altro braccio è mancante o troncato, oppure disteso sul corpo lungo il fianco opposto a quelle delle redini.

In rari casi il cavallo può essere cavalcato da due cavalieri. Di questa particolare tipologia non si conosce il significato. Alcuni esperti sostengono che gli unici veri Kotoko sono quelli con un cavaliere singolo, asserendo che i “multi cavalieri” siano solo manipolazioni artistiche, quindi dei falsi creati a fini di mercato, che nulla hanno a che vedere con i talismani originali. Io, personalmente, condivido la teoria appena menzionata, con poche eccezioni ammissibili; anche se, però, altri illustri studiosi dissentono da questa idea e inquadrano anche i “multi cavalieri” tra i Kotoko veri, autentici e degni di attenzione.   

Tutti i dubbi e le incertezze sono un po’ - in generale - il problema dell’arte africana, che non crea oggetti fini a se stessi, bensì simboli e “cose” da usare: diversi per forme, tecniche di costruzione, fattezze, simbologie e significati anche tra villaggi della stessa regione e delle medesime etnie, pertanto ancora più difficili da comprendere, non esistendo una regola generale valida per tutti. E’ sicuramente interessante ed intrigante questa alea di mistero che bene o male circonda tutti gli oggetti africani, nessuno escluso e Kotoko compresi. Ed è proprio questa misteriosità che mi affascina e che mi sprona alla ricerca spasmodica ed approfondita della storia e della “verità” di tutti i pezzi africani che colleziono: in questo specifico caso gli splendidi “Talismani contro la Follia” delle zone del bacino del lago Ciad ma, più in generale, anche relativamente a tutti gli altri oggetti della mia collezione.

Solo qualche vecchio conosce ancora i valori e il senso religioso delle opere che noi collezioniamo, per cui solo i pezzi antichi sono ancora vivi e vitali. Siccome i giovani non sono più in grado di comprendere e di esprimere il significato esoterico dell’opera d’arte, ormai nelle città si ha solo una sorta di artigianato per turisti. La grande arte africana, dai significati magici, metafisici e religiosi, si trova ormai solo negli oggetti d’epoca e ha lo stesso valore dell’icona russa: non semplicemente un oggetto d’arte ma un frammento del sacro.

Sempre parlando dei Kotoko, naturalmente ci possono essere - in qualche remoto villaggio - pezzi attuali fatti per l’uso odierno da persone che ne comprendono il significato, anche perché questo rimedio contro gli spiriti malvagi è ancora utilizzato in certe zone del Ciad e del Camerun; ma bisognerebbe vivere sul posto per qualche tempo e cercarli di persona, e poterne personalmente verificare l’autenticità, perché solo l’esperienza vissuta può servire a distinguerli dal falso turistico. (Ho in progetto un viaggio in Ciad e in Camerun “dedicato” a questi cavallini: ci andrò accompagnato da esperti del posto, e non solo a fini di studio e ricerca storica, ma anche per indagare e verificare l’usanza attuale dei “Putchu Guinadji”).

Importantissimo dire che queste sculturine portatili esistono in due versioni. Una “nuda”, con tutta la figura equestre perfettamente visibile in ogni suo dettaglio: quindi un oggetto tutto sommato facile da capire ed ammirare! Un’altra “vestita”, dove cavallo e cavaliere non sono invece visibili poiché rivestiti da un involucro di pelle che li nasconde parzialmente o completamente: quindi un oggetto da interpretare e immaginare!

Ovvia la considerazione che la maggior parte dei dettagli e dei micro particolari delle statuine - sia quelli già descritti sia quelli ancora da citare - sono perfettamente visibili solo nel caso della loro nudità. Quando le opere sono invece rivestite, le caratteristiche ed i particolari da osservare sono e devono essere altri.

Relativamente ai talismani “nudi”, che sono la maggior parte di quelli che si possono oggi trovare, i Kotoko d’epoca si distinguono sia dal tipico consumo del metallo della figura equestre, che per gli esemplari più antichi è lisciato e levigato in modo inimitabile, sia dalla loro straordinaria e nobile patina d’uso, anch’essa inimitabile ed inconfondibile. Ed è logico che vecchi pezzi veramente e quotidianamente utilizzati risultino consumati e lisciati ed abbiano una patina incredibilmente vissuta: sono stati portati per anni, per anni sono stati maneggiati e strofinati, per anni sono stati a contatto della pelle sudata e sporca, per anni sono stati adorati, amati, odiati, curati e maltrattati, probabilmente lavati e unti e rilavati.

Una parte di queste statuine sono - o erano - "vestite": cioè ricoperte di pelle, con varie modalità di rivestimento e con varie tipologie di pelle, un materiale che naturalmente si logora nel tempo prima del metallo. Non è dato sapere - con assoluta certezza - se tutti i Kotoko fossero inizialmente ricoperti di pelle e se la figura metallica sia emersa in seguito per l’usura del rivestimento o perché la ricopertura veniva successivamente e volontariamente rimossa per qualche motivo sconosciuto. Alcuni esperti asseriscono quanto appena scritto, altri sostengono invece la tesi secondo la quale già dall’inizio venivano realizzati esemplari con il metallo a vista. Anche in questo caso le teorie e i dubbi sono tanti. Io sono personalmente dell’idea che già in origine ci fossero non solo pezzi ricoperti in pelle ma anche statuine nate volutamente senza involucri; anche perché mi è capitato di vedere qualche Kotoko, sicuramente di antica manifattura, nudo e semplicemente appeso ad un laccio per essere portato, e questa mi sembrava la sua configurazione originale, oltre a tutto confermatami da chi aveva raccolto gli oggetti, sul campo, qualche decina di anni fa.

In ogni caso anche la pelle, invecchiando, assume una sua patina caratteristica ed unica, ben riconoscibile e difficile da riprodurre. Anche da dire che i rivestimenti in pelle presentano spesso rotture, crepe e fessurazioni, a volte riparate e ricucite in modo visibile, ed anche questa è cosa interessante e “vera” che, secondo me, conferisce ancora più valore a questi oggetti. Appare ovvio che, per via del facile consumo della ricopertura, i Kotoko rivestiti in pelle siano i più difficili da reperire. Poi, ma questa è un’altra questione, possono piacere o non piacere perché non permettono di vedere l’opera interna, ed in effetti ci sono collezionisti che non li raccolgono proprio per questo motivo. In ogni caso - che piacciano o no - sono rarissimi a trovarsi, sempre di più. Per me sono senza ombra di dubbio i più belli ed intriganti, quelli antropologicamente più interessanti, e sono proprio questi che ricerco in modo spasmodico.

Sempre con riferimento alle ricoperture in pelle, esse possono essere sottili ed aderentissime, quasi delle calzamaglie che lasciano intravedere ed immaginare la forma e i dettagli della figura equestre; oppure possono essere spesse, larghe, gonfie e a più strati, e in questi casi il cavallo e il cavaliere sono non solo invisibili ma anche assolutamente inimmaginabili. Ci sono poi rivestimenti che hanno una specie di imbottitura assai consistente tra la pelle e la scultura metallica - le imbottiture possono essere di paglia, di fieno, di tessuto, di pezzettini di pelle, di fibre naturali seccate e compattate - ed anche in questi casi le statuine sono totalmente nascoste agli occhi e all’immaginazione.

La maggior parte degli involucri di pelle lascia fuoriuscire all’esterno almeno la testa del cavaliere, pur essendoci alcune ricoperture che invece inglobano anche questa. Mi è stato spiegato che il volto è quasi sempre “esterno” perché il guerriero deve essere costantemente vigile e deve poter vedere tutto senza impedimenti e, ovviamente, con la testa nascosta nel rivestimento, non avrebbe questa possibilità. Ma questa è solo una teoria che, per altro, non spiegherebbe il perché alcune teste sono invece totalmente rinchiuse negli involucri, avendo però poi ricevuto una chiarificazione relativa anche a questa tipologia di visi “interni”: cioè che gli spiriti vedono anche al buio e con gli occhi bendati e coperti. Quale sarà la verità al momento non è dato saperlo, almeno al sottoscritto, che però trova una logicità in entrambe le teorie, naturalmente a patto di credere agli spiriti!

Del resto - a proposito dei tantissimi dubbi e pochissime certezze dell’arte africana e dell’Africa in generale - ricordo le sagge parole del caro amico Jean-Pierre Laprugne. Era un importante e correttissimo mercante di arte africana di Parigi, un vero e raffinato intenditore, assai onesto anche nei prezzi. Da anni è vittima “vivente” di una brutta e purtroppo comune malattia, quindi è stato costretto ad abbandonare l’attività lavorativa, pur continuando nella sua grande passione per il Continente Nero. Una volta aveva schiettamente risposto ad una mia domanda che riguardava una strana patina rossa verniciata sui piedi di un Gemello Ibeji della Nigeria: una patina che proprio non capivo e che contestavo poiché mi sembrava fuori luogo. Mi disse: “Mon ami, l’Afrique c’est l’Afrique, l’Afrique est toujours un mystère, tu ne dois jamais chercher trop d’explications, ce n’est pas possible et surtout ce n’est pas nécessaire de tout comprendre en Afrique, tu ne réussiras jamais!”. Devo ammettere che più passa il tempo, più frequento l’Africa e più colleziono gli oggetti africani … più mi rendo conto della veridicità di queste sue parole. L’Africa è veramente l’Africa, è immensamente e magnificamente unica e spesso impenetrabile come i suoi luoghi, i suoi abitanti, le sue tradizioni e i suoi oggetti. Così è sempre stato, così è e così sempre sarà. Se così non fosse non sarebbe l’Africa! 

Alcuni Kotoko - sia quelli nudi sia quelli vestiti - sono dotati di lacci, ganci, catene e collanine utilizzati per appenderli; a volte si tratta di accessori originali, altre volte gli accessori sono stati rimessi perché quelli originali sono andati persi, o si sono usurati, o sono stati rimossi e rimpiazzati per motivi a noi sconosciuti. Spesso i lacci e le collane non ci sono proprio, e potevano esserci o non esserci dall’inizio. Ma questo è un argomento impossibile da investigare, perché solo chi portava il talismano può conoscere tutte le sostituzioni e riparazioni che ha fatto o che ha fatto fare.

I pezzi moderni, per le considerazioni già esposte sul valore metafisico dell’opera, anche se talvolta splendidi sono in genere e salvo poche eccezioni da considerarsi come dei falsi privi di vita. E ce ne sono a centinaia, anche perché il cavallo è una figura importante nell’arte, e non solo nell’arte africana. Quindi è un soggetto che piace e che raccoglie il favore di tanti, ben di più di coloro che amano le figure strane e antropomorfe, i feticci, i teschi, le rappresentazioni di insetti, gli oggetti difficili da comprendere per il gusto comune.

I Kotoko sono vere opere d’arte in miniatura da intendersi, per la percezione occidentale, con una propria valenza estetica che potrebbe farle immaginare - in dimensioni appropriate - al centro di una piazza, davanti a un edificio pubblico, all’ingresso di un museo. Erano invece - e lo sono tuttora - appesi al collo o in cintura, spesso tenuti in tasca o semplicemente nel palmo di una mano, sempre toccati e sempre patinati dal tempo e dall’uso.  

I materiali e la loro fattura possono essere vari, perché dipendono dalla capacità di spesa del committente e dall’abilità del fabbro che li fonde a cera persa. Anche in questo caso - come sempre ed ovunque - ci sono i ricchi e i poveri, quelli che possono spendere e quelli che non possono; inoltre, anche in Africa ci sono persone con gusto estetico ed altre prive di questa dote. L’estetica è comunque assolutamente secondaria rispetto alla funzione di questi talismani. Infatti, ed indipendentemente dal fatto che ve ne siano di raffinati o di più ingenui e rozzi, tutti sono ugualmente validi poiché il movente esoterico fa premio sull’apparenza, tanto che l’aspetto esteriore è spesso occultato. Queste sculturine sono qualcosa da portare, adorare, usare e maneggiare, non sono soprammobili da osservare e spolverare.

E’ bello ed interessante vedere come ciascun pezzo sia radicalmente diverso da ogni altro. Eppure si tratta sempre dello stesso soggetto: una figura equestre con un cavallo ed un cavaliere. Ma ogni Kotoko ha forme, dimensioni, proporzioni, colori, patine, odori, caratteristiche e fattezze proprie, che lo rendono un vero e proprio “pezzo unico”. Ovviamente queste diversità variano a seconda delle regioni, delle etnie e dei fabbri costruttori. Mi è stato addirittura detto - ma purtroppo non mi è dato di sapere se la cosa corrisponda a verità - che lo stesso artigiano poteva realizzare sculture anche molto diverse tra loro, con forme ed accessori differenti, a seconda del malato e del tipo di pazzia. In ogni caso, e comunque sia, la grande varietà dei talismani Kotoko e l’assoluta “unicità” di ognuno di essi sono uno dei motivi che rendono interessantissima la collezione di questa tipologia di oggetti.

Alcune brevi note relative alla bibliografia dei “Putchu Guinadji”, senza scendere in inutili e noiosi dettagli.

Questi piccoli talismani sono stati pubblicati su vari libri e riviste, sia recentemente sia in passato. Ma si è sempre trattato di pagine riproducenti le sole foto di queste sculturine, con una breve e generica descrizione, purtroppo senza testi esplicativi della loro funzione ed origine. Solo nel 2007, all’interno del libro di Gabriel Massa “Cheval et Chevalier dans l’Art de l’Afrique Noire” (Editions Sepia / Francia) - un trattato generale sulle figure equestri africane - il tema dei guerrieri Kotoko è stato per la prima volta affrontato in modo più analitico. Infatti, alcune pagine del libro sono interamente dedicate a questo soggetto e finalmente è stato pubblicato un breve testo specifico sull’argomento, per l’esattezza a pagina 71; tutto ciò soprattutto grazie alla collaborazione dell’amico Gerard Roso, che ha vissuto per moltissimi anni in Camerun ed in Ciad e che si è dedicato, con enorme passione, allo studio e alla raccolta di queste splendide statuine portatili.

Sono appena venuto a conoscenza di un altro libro americano di prossima pubblicazione, sempre sull’argomento generico delle figure equestri africane: “Horse Rider in African Art”, di George Chemeche. Questo testo non è ancora in libreria, probabilmente sarà disponibile a Dicembre 2010 o all’inizio del 2011, ma in internet si può già vedere l’immagine della copertina, sulla quale sono pubblicati ben tre Kotoko: la cosa già mi emoziona e mi lascia ben sperare, non vedo l’ora di avere tra le mani questo volume, confido in un vero ed interessante approfondimento dell’argomento al suo interno!

Quanto sopra, in poche misere parole, è quello che è stato scritto sui cavalieri Kotoko fino ad oggi. Probabilmente in un prossimo futuro potrebbe esserci un libro dedicato solo a questo argomento. Da molto tempo rimacino questa idea e penso di portarla a termine nel giro dei prossimi due anni, magari già nel 2011. Tante foto già ci sono, le idee anche e forse troppe, c’è già qualche contatto interessante tra cui il sicuro ed impareggiabile aiuto promessomi dal sopranominato amico Gerard Roso, e poi - soprattutto - c’e’ tanta, tanta e tanta passione per questi meravigliosi talismani! Adesso manca solo un po’ di tempo per perfezionare gli ultimi dettagli e qualche altro contatto … e poi speriamo … e poi si vedrà!

Per terminare, un paio di considerazioni importanti:

La prima è che molti grandi artisti della nostra epoca, da Picasso a Modigliani, da Paul Klee a Giacometti, da Max Ernst a Arman - tanto per fare pochi ed illustri esempi - sono stati appassionati collezionisti di arte africana e da essa ne hanno tratto proficua ispirazione. (A questo proposito mi permetto di consigliare un eccellente testo che mette in rapporto l’Arte Primitiva con l’Arte Moderna: “Il Primitivismo nell’Arte del XX Secolo” - Affinità fra il Tribale e il Moderno - di William Rubin - Edizioni Mondadori - 1985). E, comunque, guardando ed analizzando i cavalieri Kotoko si può immediatamente comprendere che anch’essi hanno contribuito ad illuminare ed ispirare molti dei grandi maestri della pittura e della scultura moderna. Basterebbe pensare ai famosissimi cavalli di Marino Marini, e non servirebbe aggiungere altro.

L’altra riguarda la nostra percezione dell’arte, a prescindere dai significati simbolici, e sta in una frase di Brancusi, grandissimo artista e anch’egli appassionato collezionista di arte africana: “Non cercate formule oscure, né il mistero. Quella che vi do è pura gioia”.

Ecco: i Kotoko sono per me una vera gioia! Spero di riuscire a trasmetterla anche a tutti Voi!

 

Ottobre 2010

Pierluigi Peroni

 

 

 

 

 

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