“PUTCHU
GUINADJI”
CAVALIERI
KOTOKO - TALISMANI CONTRO LA FOLLIA
La pazzia, nel mondo
occidentale, è una malattia - purtroppo oggi sempre più diffusa - che
deve essere curata, il più delle volte con farmaci; se non è possibile
curarla farmacologicamente, occorre aiutare la persona con altre terapie
di sostegno di vario genere. In Africa, per contro, la malattia mentale
si origina dalla possessione da parte di spiriti malvagi; nel comune
sentire africano, infatti, fisica e metafisica non appartengono a piani
e mondi diversi, ma sono semplicemente due aspetti apparenti del reale.
Nei vari stati africani
la pazzia si combatte in molteplici modi: riti voodoo, sedute
spiritiche, cerimonie e danze tribali, statue e maschere, feticci,
talismani e oggetti magici dei più vari. La medicina ufficiale non ha
spiegazioni, ma questi rimedi molte volte funzionano, almeno secondo
l’opinione degli abitanti del continente nero.
Per combattere la pazzia,
nella zona del bacino del Lago Ciad si utilizzano
i
“Cavalieri Kotoko”: i “Putchu Guinadji”
come vengono
chiamati dalle popolazioni locali. Si tratta di piccole fusioni a cera
persa, che rappresentano un cavallo montato da un cavaliere. Sono
talismani prodotti e usati in Ciad e nel nord del Camerun, probabilmente
anche nel nord est della Nigeria e nel sud est del Niger. Si affidano al
malato che li porterà sempre con sé, ogni giorno e per tutto il tempo
necessario: fino alla sua completa guarigione e - nei casi sventurati ed
inguaribili - fino alla morte. La loro funzione è quella di proteggere
il malato di mente, colui che è posseduto dagli spiriti; per questo
motivo si chiamano anche
“Chevaux de la Folie”,
e sono l’ingenua statuina di un cavallo sormontato da un
cavaliere, che rappresentano rispettivamente lo spirito posseduto del
malato - il cavallo - e lo spirito che lo possiede - il
cavaliere.
Queste sculturine
portatili rappresentano una delle forme di magia apotropaica africana e
sono oggetti “vivi”, nel senso che periodicamente lo spirito viene
interrogato e può anche chiedere dei doni, che sono riprodotti in
piccola scala e uniti alla statuina: quindi altri talismani vengono
aggiunti al talismano principale, e sono a volte di dimensioni anche più
grandi di esso. I doni possono essere dei più svariati: contenitori in
pelle con oggetti magici misteriosi, pietre, corna di piccole antilopi,
ciocche di peli, anelli, corde e lacci, fili, denti di animali; talvolta
vi sono anche versetti del Corano racchiusi in piccoli astucci di cuoio,
e questo accade quando il guaritore è un marabutto islamico. Purtroppo,
nella maggior parte dei casi tutti questi accessori sono andati persi,
per mille motivi e soprattutto quelli più fragili e sottili, o sono
stati volontariamente rimossi, per ragioni che non ci è dato di
conoscere. E’ pertanto assai raro trovare cavallini ancora dotati di
questi “doni allo spirito”, interessantissimi dal punto di vista
etnografico e antropologico.
Le fusioni possono essere
realizzate in ferro, argento, bronzo, stagno o rame. Quelle di bronzo
sono le più comuni. Spesso si tratta anche di leghe indecifrabili di
metalli poveri. Del resto, in foresta e nei villaggi sperduti non si può
ricorrere a fornitori specializzati, difficilmente si trovano metalli
puri e di prima scelta, non si compra e spesso si baratta, quindi si
deve usare quello che si ha, quello che in qualche modo si riesce a
reperire.
Le misure delle statuine
Kotoko, per quanto riguarda la loro altezza, possono variare da 2,5 fino
a 11 centimetri. Questo, almeno, relativamente ai pezzi da me visti o
acquisiti. Non sono in grado di escludere dimensioni diverse. Magari
potrà esistere qualche pezzo leggermente più piccolo. Ma avrei dei
serissimi dubbi sulla genuinità di eventuali taglie più grandi o,
comunque, molto più grandi: la facile trasportabilità del talismano è
infatti condizione indispensabile per il suo utilizzo quotidiano,
ovunque vada e/o si trovi il malato, e un oggetto troppo ingombrante e
pesante complicherebbe ogni cosa.
Pur essendocene anche di
disarmati, questi cavalieri sono quasi sempre armati, essendo dei veri e
proprio guerrieri. Ecco perché sono anche chiamati
“Kotoko
Warriors”.
In effetti il loro scopo è quello di difendere i malati. E’ per questo
che portano spesso un’arma: la maggior parte delle volte è una spada o
una sciabola, ma può anche trattarsi di fucili, lance, bastoni, mazze o
di altri oggetti difficilmente decifrabili. Il guerriero porta, in più
rari casi, anche uno scudo, e questo in ottica esclusivamente difensiva.
A volte il cavallo può trasportare un coccodrillo appeso a un lato o su
entrambi i lati: anche il coccodrillo rappresenta una sorta di arma,
un’arma metaforica ma comunque una dimostrazione di forza e ferocia che
possa incutere timore agli spiriti malvagi, allontanandoli dal malato.
Talora il cavaliere
porta con sé altri oggetti più comuni,
quasi
sempre in aggiunta alle “armi” di cui sopra: bisacce, zaini, borracce,
recipienti, pesi, corde, utensili vari che sembrerebbero essere di uso
quotidiano. Non è dato di conoscere il vero significato di questi
oggetti, anche se la mia teoria è che si tratti di tutte quelle “cose”
che permettono al guerriero di vivere e sopravvivere, quindi di “durare”
più a lungo della follia del malato.
Il volto del personaggio
è il più delle volte indefinito, perché gli spiriti non si possono
definire. In certi casi l’intero cavaliere è una forma indefinita che
sormonta il cavallo; spesso il suo volto ha sembianze falliche. E’ bene,
in linea di massima, diffidare dei Kotoko con i visi certi e definiti,
anche se potrebbero comunque esserci eccezioni. La documentazione
storica è inesistente e la tradizione a trasmissione orale si va
perdendo.
Le
redini sono sempre tese e staccate, creando così una sorta di foro per
consentire di appendere il talismano al collo o alla cintura.
Spessissimo le redini sono rotte, trattandosi di una parte sottile e
quindi fragile, inoltre logorata e consumata dai lacci che consentono di
appendere il pezzo. Il più delle volte il cavallo è equipaggiato di una
sola redine, quindi nella maggior parte dei casi il cavaliere ha un solo
braccio che guida il cavallo, e quasi sempre l’altro braccio è mancante
o troncato, oppure disteso sul corpo lungo il fianco opposto a quelle
delle redini.
In
rari casi il cavallo può essere cavalcato da due cavalieri. Di questa
particolare tipologia non si conosce il significato. Alcuni esperti
sostengono che gli unici veri Kotoko sono quelli con un cavaliere
singolo, asserendo che i “multi cavalieri” siano solo manipolazioni
artistiche, quindi dei falsi creati a fini di mercato, che nulla hanno a
che vedere con i talismani originali. Io, personalmente, condivido la
teoria appena menzionata, con poche eccezioni ammissibili; anche se,
però, altri illustri studiosi dissentono da questa idea e inquadrano
anche i “multi cavalieri” tra i Kotoko veri, autentici e degni di
attenzione.
Tutti i dubbi e le
incertezze sono un po’ - in generale - il problema dell’arte africana,
che non crea oggetti fini a se stessi, bensì simboli e “cose” da usare:
diversi per forme, tecniche di costruzione, fattezze, simbologie e
significati anche tra villaggi della stessa regione e delle medesime
etnie, pertanto ancora più difficili da comprendere, non esistendo una
regola generale valida per tutti. E’ sicuramente interessante ed
intrigante questa alea di mistero che bene o male circonda tutti gli
oggetti africani, nessuno escluso e Kotoko compresi. Ed è proprio questa
misteriosità che mi affascina e che mi sprona alla ricerca spasmodica ed
approfondita della storia e della “verità” di tutti i pezzi africani che
colleziono: in questo specifico caso gli splendidi “Talismani contro la
Follia” delle zone del bacino del lago Ciad ma, più in generale, anche
relativamente a tutti gli altri oggetti della mia collezione.
Solo qualche vecchio
conosce ancora i valori e il senso religioso delle opere che noi
collezioniamo, per cui solo i pezzi antichi sono ancora vivi e vitali.
Siccome i giovani non sono più in grado di comprendere e di esprimere il
significato esoterico dell’opera d’arte, ormai nelle città si ha solo
una sorta di artigianato per turisti. La grande arte africana, dai
significati magici, metafisici e religiosi, si trova ormai solo negli
oggetti d’epoca e ha lo stesso valore dell’icona russa: non
semplicemente un oggetto d’arte ma un frammento del sacro.
Sempre parlando dei Kotoko, naturalmente ci possono essere - in qualche remoto villaggio -
pezzi attuali fatti per l’uso odierno da persone che ne comprendono il
significato, anche perché questo rimedio contro gli spiriti malvagi è
ancora utilizzato in certe zone del Ciad e del Camerun; ma bisognerebbe
vivere sul posto per qualche tempo e cercarli di persona, e poterne
personalmente verificare l’autenticità, perché solo l’esperienza vissuta
può servire a distinguerli dal falso turistico. (Ho in progetto un
viaggio in Ciad e in Camerun “dedicato” a questi cavallini: ci andrò accompagnato da
esperti del posto, e non solo a fini di studio e ricerca storica, ma
anche per indagare e verificare l’usanza attuale dei “Putchu Guinadji”).
Importantissimo dire che
queste sculturine portatili esistono in due versioni. Una “nuda”, con tutta la
figura equestre perfettamente visibile in ogni suo dettaglio: quindi un
oggetto tutto sommato facile da capire ed ammirare! Un’altra “vestita”, dove
cavallo e cavaliere non sono invece visibili poiché rivestiti da un
involucro di pelle che li nasconde parzialmente o completamente: quindi
un oggetto da interpretare e immaginare!
Ovvia la considerazione
che la maggior parte dei dettagli e dei micro particolari delle statuine
- sia quelli già descritti sia quelli ancora da citare - sono
perfettamente visibili solo nel caso della loro nudità. Quando le opere
sono invece rivestite, le caratteristiche ed i particolari da osservare
sono e devono essere altri.
Relativamente ai
talismani “nudi”, che sono la maggior parte di quelli che si possono
oggi trovare, i Kotoko d’epoca si distinguono sia dal tipico
consumo del metallo della figura equestre, che per gli esemplari più
antichi è lisciato e levigato in modo inimitabile, sia dalla loro
straordinaria e nobile patina d’uso, anch’essa inimitabile ed
inconfondibile. Ed è logico che vecchi pezzi veramente e quotidianamente
utilizzati risultino consumati e lisciati ed abbiano una patina
incredibilmente vissuta: sono stati portati per anni, per anni sono
stati maneggiati e strofinati, per anni sono stati a contatto della
pelle sudata e sporca, per anni sono stati adorati, amati, odiati,
curati e maltrattati, probabilmente lavati e unti e rilavati.
Una parte di queste
statuine sono - o erano - "vestite": cioè ricoperte di pelle, con varie modalità di
rivestimento e con varie tipologie di pelle, un materiale che
naturalmente si logora nel tempo prima del metallo. Non è dato sapere -
con assoluta certezza - se tutti i Kotoko fossero inizialmente ricoperti
di pelle e se la figura metallica sia emersa in seguito per l’usura del
rivestimento o perché la ricopertura veniva successivamente e
volontariamente rimossa per qualche motivo sconosciuto. Alcuni esperti
asseriscono quanto appena scritto, altri sostengono invece la tesi
secondo la quale già dall’inizio venivano realizzati esemplari con il
metallo a vista. Anche in questo caso le teorie e i dubbi sono tanti. Io
sono personalmente dell’idea che già in origine ci fossero non solo
pezzi ricoperti in pelle ma anche statuine nate volutamente senza
involucri; anche perché mi è capitato di vedere qualche Kotoko,
sicuramente di antica manifattura, nudo e semplicemente appeso ad un
laccio per essere portato, e questa mi sembrava la sua configurazione
originale, oltre a tutto confermatami da chi aveva raccolto gli oggetti,
sul campo, qualche decina di anni fa.
In ogni caso anche la
pelle, invecchiando, assume una sua patina caratteristica ed unica, ben
riconoscibile e difficile da riprodurre. Anche da dire che i
rivestimenti in pelle presentano spesso rotture, crepe e fessurazioni, a
volte riparate e ricucite in modo visibile, ed anche questa è cosa
interessante e “vera” che, secondo me, conferisce ancora più valore a
questi oggetti. Appare ovvio che, per via del facile consumo della
ricopertura, i Kotoko rivestiti in pelle siano i più difficili da
reperire. Poi, ma questa è un’altra questione, possono piacere o non
piacere perché non permettono di vedere l’opera interna, ed in effetti
ci sono collezionisti che non li raccolgono proprio per questo motivo.
In ogni caso - che piacciano o no - sono rarissimi a trovarsi, sempre di
più. Per me sono senza ombra di dubbio i più belli ed intriganti, quelli
antropologicamente più interessanti, e sono proprio questi che ricerco
in modo spasmodico.
Sempre con riferimento
alle ricoperture in pelle, esse possono essere sottili ed aderentissime,
quasi delle calzamaglie che lasciano intravedere ed immaginare la forma
e i dettagli della figura equestre; oppure possono essere spesse,
larghe, gonfie e a più strati, e in questi casi il cavallo e il
cavaliere sono non solo invisibili ma anche assolutamente
inimmaginabili. Ci sono poi rivestimenti che hanno una specie di
imbottitura assai consistente tra la pelle e la scultura metallica - le
imbottiture possono essere di paglia, di fieno, di tessuto, di
pezzettini di pelle, di fibre naturali seccate e compattate - ed anche
in questi casi le statuine sono totalmente nascoste agli occhi e
all’immaginazione.
La maggior parte degli
involucri di pelle lascia fuoriuscire all’esterno almeno la testa del
cavaliere, pur essendoci alcune ricoperture che invece inglobano anche
questa. Mi è stato spiegato che il volto è quasi sempre “esterno” perché
il guerriero deve essere costantemente vigile e deve poter vedere tutto
senza impedimenti e, ovviamente, con la testa nascosta nel rivestimento,
non avrebbe questa possibilità. Ma questa è solo una teoria che, per
altro, non spiegherebbe il perché alcune teste sono invece totalmente
rinchiuse negli involucri, avendo però poi ricevuto una chiarificazione
relativa anche a questa tipologia di visi “interni”: cioè che gli
spiriti vedono anche al buio e con gli occhi bendati e coperti. Quale
sarà la verità al momento non è dato saperlo, almeno al sottoscritto,
che però trova una logicità in entrambe le teorie, naturalmente a patto
di credere agli spiriti!
Del resto - a proposito dei tantissimi dubbi e pochissime certezze
dell’arte africana e dell’Africa in generale - ricordo le sagge parole
del caro amico Jean-Pierre Laprugne. Era un importante e correttissimo mercante
di arte africana di Parigi, un vero e raffinato intenditore, assai
onesto anche nei prezzi. Da anni è vittima “vivente” di una brutta e
purtroppo comune malattia, quindi è stato costretto ad abbandonare
l’attività lavorativa, pur continuando nella sua grande passione per il
Continente Nero. Una volta aveva schiettamente risposto ad una mia
domanda che riguardava una strana patina rossa verniciata sui piedi di
un Gemello Ibeji della Nigeria: una patina che proprio non capivo e che
contestavo poiché mi sembrava fuori luogo. Mi disse: “Mon ami, l’Afrique
c’est l’Afrique, l’Afrique est toujours un mystère, tu ne dois jamais
chercher trop d’explications, ce n’est pas possible et surtout ce n’est
pas nécessaire de tout comprendre en Afrique, tu ne réussiras jamais!”.
Devo ammettere che più passa il tempo, più frequento l’Africa e più
colleziono gli oggetti africani … più mi rendo conto della veridicità di
queste sue parole. L’Africa è veramente l’Africa, è immensamente e
magnificamente unica e spesso impenetrabile come i suoi luoghi, i suoi
abitanti, le sue tradizioni e i suoi oggetti. Così è sempre stato, così
è e così sempre sarà. Se così non fosse non sarebbe l’Africa!
Alcuni Kotoko - sia
quelli nudi sia quelli vestiti - sono dotati di lacci, ganci, catene e
collanine utilizzati per appenderli; a volte si tratta di accessori
originali, altre volte gli accessori sono stati rimessi perché quelli
originali sono andati persi, o si sono usurati, o sono stati rimossi e
rimpiazzati per motivi a noi sconosciuti. Spesso i lacci e le collane
non ci sono proprio, e potevano esserci o non esserci dall’inizio. Ma
questo è un argomento impossibile da investigare, perché solo chi
portava il talismano può conoscere tutte le sostituzioni e riparazioni
che ha fatto o che ha fatto fare.
I pezzi moderni, per le
considerazioni già esposte sul valore metafisico dell’opera, anche se
talvolta splendidi sono in genere e salvo poche eccezioni da
considerarsi come dei falsi privi di vita. E ce ne sono a centinaia,
anche perché il cavallo è una figura importante nell’arte, e non solo
nell’arte africana. Quindi è un soggetto che piace e che raccoglie il
favore di tanti, ben di più di coloro che amano le figure strane e
antropomorfe, i feticci, i teschi, le rappresentazioni di insetti, gli
oggetti difficili da comprendere per il gusto comune.
I
Kotoko sono vere opere d’arte in miniatura da intendersi, per la
percezione occidentale, con una propria valenza estetica che potrebbe
farle immaginare - in dimensioni appropriate - al centro di una piazza,
davanti a un edificio pubblico, all’ingresso di un museo. Erano invece -
e lo sono tuttora - appesi al collo o in cintura, spesso tenuti in tasca
o semplicemente nel palmo di una mano, sempre toccati e sempre patinati
dal tempo e dall’uso.
I materiali e la loro
fattura possono essere vari, perché dipendono dalla capacità di spesa
del committente e dall’abilità del fabbro che li fonde a cera persa.
Anche in questo caso - come sempre ed ovunque - ci sono i ricchi e i
poveri, quelli che possono spendere e quelli che non possono; inoltre,
anche in Africa ci sono persone con gusto estetico ed altre prive di
questa dote. L’estetica è comunque assolutamente secondaria rispetto
alla funzione di questi talismani. Infatti, ed indipendentemente dal
fatto che ve ne siano di raffinati o di più ingenui e rozzi, tutti sono
ugualmente validi poiché il movente esoterico fa premio sull’apparenza,
tanto che l’aspetto esteriore è spesso occultato. Queste sculturine sono
qualcosa da portare, adorare, usare e maneggiare, non sono soprammobili
da osservare e spolverare.
E’ bello ed interessante
vedere come ciascun pezzo sia radicalmente diverso da ogni altro. Eppure
si tratta sempre dello stesso soggetto: una figura equestre con un
cavallo ed un cavaliere. Ma ogni Kotoko ha forme, dimensioni,
proporzioni, colori, patine, odori, caratteristiche e fattezze proprie,
che lo rendono un vero e proprio “pezzo unico”. Ovviamente queste
diversità variano a seconda delle regioni, delle etnie e dei fabbri
costruttori. Mi è stato addirittura detto - ma purtroppo non mi è dato
di sapere se la cosa corrisponda a verità - che lo stesso artigiano
poteva realizzare sculture anche molto diverse tra loro, con forme ed
accessori differenti, a seconda del malato e del tipo di pazzia. In ogni
caso, e comunque sia, la grande varietà dei talismani Kotoko e
l’assoluta “unicità” di ognuno di essi sono uno dei motivi che rendono
interessantissima la collezione di questa tipologia di oggetti.
Alcune brevi note
relative alla bibliografia dei “Putchu Guinadji”, senza scendere in
inutili e noiosi dettagli.
Questi piccoli talismani
sono stati pubblicati su vari libri e riviste, sia recentemente sia in
passato. Ma si è sempre trattato di pagine riproducenti le sole foto di
queste sculturine, con una breve e generica descrizione, purtroppo senza
testi esplicativi della loro funzione ed origine. Solo nel 2007,
all’interno del libro di Gabriel Massa “Cheval et Chevalier dans l’Art
de l’Afrique Noire” (Editions Sepia / Francia) - un trattato generale
sulle figure equestri africane - il tema dei guerrieri Kotoko è stato
per la prima volta affrontato in modo più analitico. Infatti, alcune
pagine del libro sono interamente dedicate a questo soggetto e
finalmente è stato pubblicato un breve testo specifico sull’argomento,
per l’esattezza a pagina 71; tutto ciò soprattutto grazie alla
collaborazione dell’amico Gerard Roso, che ha vissuto per moltissimi
anni in Camerun ed in Ciad e che si è dedicato, con enorme passione,
allo studio e alla raccolta di queste splendide statuine portatili.
Sono appena venuto a
conoscenza di un altro libro americano di prossima pubblicazione, sempre
sull’argomento generico delle figure equestri africane: “Horse Rider in
African Art”, di George Chemeche. Questo testo non è ancora in libreria,
probabilmente sarà disponibile a Dicembre 2010 o all’inizio del 2011, ma
in internet si può già vedere l’immagine della copertina, sulla quale
sono pubblicati ben tre Kotoko: la cosa già mi emoziona e mi lascia ben
sperare, non vedo l’ora di avere tra le mani questo volume, confido in
un vero ed interessante approfondimento dell’argomento al suo interno!
Quanto sopra, in poche
misere parole, è quello che è stato scritto sui cavalieri Kotoko fino ad
oggi. Probabilmente in un prossimo futuro potrebbe esserci un libro
dedicato solo a questo argomento. Da molto tempo rimacino questa idea e
penso di portarla a termine nel giro dei prossimi due anni, magari già
nel 2011. Tante foto già ci sono, le idee anche e forse troppe, c’è già
qualche contatto interessante tra cui il sicuro ed impareggiabile aiuto
promessomi dal sopranominato amico Gerard Roso, e poi - soprattutto -
c’e’ tanta, tanta e tanta passione per questi meravigliosi talismani!
Adesso manca solo un po’ di tempo per perfezionare gli ultimi dettagli e
qualche altro contatto … e poi speriamo … e poi si vedrà!
Per terminare, un paio di considerazioni
importanti:
La prima è che molti
grandi artisti della nostra epoca, da Picasso a Modigliani, da Paul Klee
a Giacometti, da Max Ernst a Arman - tanto per fare pochi ed illustri
esempi - sono stati appassionati collezionisti di arte africana e da
essa ne hanno tratto proficua ispirazione. (A questo proposito mi
permetto di consigliare un eccellente testo che mette in rapporto l’Arte
Primitiva con l’Arte Moderna: “Il Primitivismo nell’Arte del XX Secolo”
- Affinità fra il Tribale e il Moderno - di William Rubin - Edizioni
Mondadori - 1985). E, comunque, guardando ed analizzando i cavalieri
Kotoko si può immediatamente comprendere che anch’essi hanno contribuito
ad illuminare ed ispirare molti dei grandi maestri della pittura e della
scultura moderna. Basterebbe pensare ai famosissimi cavalli di Marino
Marini, e non servirebbe aggiungere altro.
L’altra riguarda la nostra
percezione dell’arte, a prescindere dai significati simbolici, e sta in
una frase di Brancusi, grandissimo artista e anch’egli appassionato
collezionista di arte africana: “Non cercate formule oscure, né il
mistero. Quella che vi do è pura gioia”.
Ecco: i Kotoko sono per me
una vera gioia! Spero di riuscire a trasmetterla anche a tutti Voi!
Ottobre 2010
Pierluigi Peroni
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