DEL COLLEZIONARE ARTE TRIBALE
"uno sguardo su di un collezionista particolare"
- Marcello Lattari -
Introduzione
Innanzi tutto una piccola
nota introduttiva sulla Logica che, come sappiamo, è quella
disciplina che studia ed approfondisce le condizioni di validità dei
presupposti e delle argomentazioni deduttive e, nello specifico, la
logica formale che prescinde dall'evidente contenuto delle
espressioni considerate, esaminando le pure forme argomentative, fino ad
interessarci del sillogismo aristotelico (argomentazione che consta di
due premesse - una maggiore e una minore - e di una ovvia conclusione,
generalizzata in seguito come la teoria o l'indagine relativa alle
condizioni di validità dei procedimenti di inferenza, ossia ogni forma
di ragionamento con cui si dimostri il logico conseguire di una verità
da un’altra, di un giudizio da un altro, oppure alle condizioni di
validità del procedimento di deduzione delle caratteristiche di una
popolazione, a partire da una rilevazione effettuata su un campione
limitato di essa, per mezzo della stima dei parametri o attraverso il
controllo delle ipotesi.) che enuncia: "un discorso nel quale, poste
alcune cose, ne derivano necessariamente altre, per il fatto stesso che
quelle sono state poste". (1)
Ogni collezione consta di
due premesse essenziali: il soggetto e l'oggetto che ponendosi nel
discorso, ne genereranno necessariamente altre, per il fatto stesso che
sono state poste. Naturalmente, a priori, come fatto concreto in sé e
che specifica la naturale azione nello sviluppo dinamico dei fatti, il
soggetto, per universale assunto, lo identifichiamo nel collezionista e
l'oggetto, ossia ciò che è inconfutabilmente posto innanzi al pensiero o
alla vista, lo cataloghiamo, senza dubbio alcuno, come ciò che stimola,
attrae e condiziona il soggetto e lo lascia compiere le sue funzioni
dell'agire fino a confondersi con il suo stesso oggetto e ad invertire,
alla fine, le definizioni delle due nostre premesse essenziali: il
soggetto diventa inconsapevole oggetto e viceversa l'oggetto si
trasforma in una fonte di energia per sviluppare una forza di
attrazione, come un magnete, pur nella sua immobilità fisica. In questa
splendida reciprocità in cui è facile individuare una sorta di affinità
elettiva verterà la mia analisi e le mie riflessioni fino a trarne una
personale conclusione.
Sul concetto
generale del collezionismo analizzerò molto superficialmente le
definizioni e le motivazioni che possono essere infinite ed ognuna
giusta per il proprio verso, come molti studiosi hanno già scritto.
Voglio cominciare a dire che se una comune persona ritiene di essere un
collezionista, lo è certamente. Esistono molte validissime definizioni
accademiche, ma secondo me (2) l'opinione soggettiva è la migliore
definizione in assoluto. Il livello del collezionismo mondiale è molto
diverso nelle varie aree del pianeta e, verosimilmente, riflette il
reddito disponibile e la quantità di beni materiali a cui si ha accesso.
Le varie differenze numeriche e sostanziali dipendono quindi dal diverso
rapporto con le cose materiali. Una persona può costruire una collezione
per creare la propria identità che può essere creata a più livelli
e normalmente tende a collezionare cose del passato che rivestono, a
giudizio del collezionista, una certa importanza. La ricostruzione del
passato della propria storia e civiltà è infatti una parte fondamentale
della formazione dell'identità, soprattutto di colui che per genealogia
ne è privo. Le motivazioni del collezionare sono molto diverse. Quando
si parla di "veri" collezionisti e non di mercanti, c'è chi ama vedere
aumentare l'importanza economica della propria collezione, a volte vende
anche qualcosa, ma raramente lo fa per guadagnare. E' più una questione
di valore emotivo. Per la maggioranza delle persone il fatto che alcune
cose siano cadute nel dimenticatoio e non abbiano alcun valore
finanziario è un motivo per collezionarle. Mettersi sulle tracce di un
oggetto, scovarlo e acquistarlo per pochi soldi è parte del
divertimento. In tutto questo c'è un forte istinto di caccia. Si
potrebbe affermare che è un modo inconscio per scendere a patti con i
nostri istinti primordiali. Un'altra ragione è che siamo esseri umani e
governati da ciò che io chiamo "il desiderio dell'occhio".(2)
"Ci sono due fratelli,
tali Tlepòlemo e Gerone, di cui uno, a quel che so, faceva abitualmente
il modellatore in cera, l'altro il pittore(...). Verre li tenne con sé
durante quel periodo e si avvalse della loro opera e del loro consiglio
per le rapine e i furti compiuti durante la sua legazione(...). Se li
portò in Sicilia (dove andò come governatore di quella provincia).
Arrivati lì, sembravano cani da caccia: fiutavano tutto e seguivano ogni
traccia in modo così mirabile che riuscivano a scovare ogni oggetto
d'arte, dovunque fosse, con qualunque mezzo(...). Prima ero solito
stupirmi che uno come Verre avesse un po' di buon gusto, (...) ben
sapendo che egli non ha nulla in comune, da nessun punto di vista, con
un uomo colto. Allora per la prima volta capii la ragion d'essere dei
due fratelli artisti: gli servivano perché egli potesse rubare con le
sue mani, ma utilizzando i loro occhi".(3)
Dopo questo breve ma
incisivo scritto
di Marco Tullio Cicerone, in cui il "desiderio dell'occhio" della Susan Pearce
trova facile e legittima applicazione storica nella differenziazione tra
il "possessore di
collezione" (Verre) ed il vero "autore di collezione"
(Tlepòlemo e Gerone), tenendo presente che anche dopo duemila anni
riconosciamo che Verre non sia riuscito ad usurpare, neppure con l'aiuto
del tempo, la valenza dei veri autori della sua collezione, posso addentrarmi nell'analisi
del rapporto tra una qualsivoglia collezione ed il suo inconfutabile autore e giammai in quello del
suo possessore: rapporto quest'ultimo che non esiste in quanto acquisito attraverso
l'uso anche legittimo ma non alternativo del denaro e che, in altri
casi, qualunque
personaggio a volte anche ignorante, per il solo fatto di esser
coinvolto
nell'intermediazione, ha automaticamente dissacrato e distrutto.
Purtroppo non tutti sono come Verre che, pur stupendo subdolamente e con
arti illusorie la
Roma colta per il suo manifestato ed ostentato ma non effettivo e
sostanziale buon gusto, ben sapeva di
essere altresì un mistificatore ed un millantatore e, come ci tramanda
Cicerone, ben sapendo che non aveva nulla in comune, da nessun punto di
vista, con un uomo colto. Molti collezionisti, dopo qualche anno di
esperienza per essere entrati in contatto con le arti tribali o aver
letto qualche libro sull'argomento, credono di avere gli occhi di Tlepòlemo e Gerone e di essere in grado di distinguere le differenze tra
originale, copia, riproduzione, autentico, artigianale, falso. Ho
cominciato ad interessarmi di arte africana nel 1970 ed oggi, nel mese
di Novembre del 2009, dopo circa quaranta anni di studi ininterrotti sull'argomento,
devo purtroppo penosamente ascoltare, vedere e soprattutto constatare la presunzione dell'ignorante, le falsità del
vile e disonesto
pseudo-intellettuale, le giuste, onestissime e più che mai giustificate
reali motivazioni economiche dell'investimento garantito dai
mercanti, gli svolazzi pindarici di un occasionale e patetico giullare di turno nel
descrivere un'arte che i suoi occhi non riescono a vedere e mai vedranno, le competizioni
bambinesche sulla validità estetica oppure la disputa litigiosa sulla qualità certamente superiore del
proprio splendido oggetto rispetto a quello pessimo dell'altro, il disprezzo verso il
"vero" collezionista, per intenderci quello che ha un rapporto
autorevole e geneticamente imprescindibile con la propria collezione ("autore di collezione"), l'innalzare altari a quelli che
sono venuti in possesso, attraverso il denaro, di oggetti di cui non
conoscono nulla, se non il valore attuale e quello ipotetico futuro: cosa hanno a
che fare o vedere o spartire o coniugare o condividere questi
personaggi, anche se rispettabilissimi nelle loro idee fideistiche ed
anche se riuniti in fondazioni, associazioni culturali, in un forum o in
un blog, con un
vero collezionista?
Nella mia lunga esistenza
a contatto con le arti africane ho avuto modo di conoscere diversi seri
collezionisti e con la maggior parte dei quali di intrattenere veri
rapporti di stima reciproca e con alcuni di profonda amicizia. Per ovvi
motivi non posso elencarli nella loro totalità ma, per qualcuno, senza
alcuna offesa per gli altri, non posso assolutamente fare a meno di
usare un metro diverso, in quanto protagonista recente di avvenimenti della
storia dell'arte africana in Italia. Mi limiterò a narrare gli
avvenimenti intrappolandoli nelle predette premesse di questo lavoro, e,
nell'ambito della Logica, porre alla fine degli interrogativi a cui il
lettore saprà dare una risposta "di una ovvia conclusione, generalizzata
in seguito come la teoria o l'indagine relativa alle condizioni di
validità dei procedimenti di inferenza, ossia ogni forma di ragionamento
con cui si dimostri il logico conseguire di una verità da un’altra, di
un giudizio da un altro".
- o -
Fabrizio Corsi: analisi della sua collezione e del suo
collezionare.
"Viaggio in fondo
alla notte. L'arte delle etnie dell'equatore africano". Una
Mostra finalizzata alla ricerca. Rimini, Museo degli Sguardi:
Marzo-Giugno 2007.-Questo è il titolo della mostra e di seguito ne
trascrivo la
presentazione del
Dirigente Museo degli Sguardi,
dott. Maurizio Biordi:
"Il Museo degli Sguardi,
dopo la realizzazione della mostra inaugurale del Museo (17 Dicembre
2005) “Affrica Terra Incognita”,
a cura di Luigi Pezzoli (Centro Studi Archeologia Africana, Milano), nel
corso dell'anno seguente ha ospitato la mostra “Gli occhi del pubblico”, a
cura dell'Istituto Beni Culturali della Regione Emilia - Romagna, e
“L'ultimo sogno africano di Arthur Rimbaud”, a cura del Tucano Viaggi e
Ricerca di Torino. Nell'anno corrente, invece, il Museo ha programmato una
rassegna di mostre dal titolo “Antropologia del comportamento estetico”,
di cui la prima mostra, “Viaggio in fondo alla notte. L'arte delle etnie
all'equatore africano”, si rivolge allo “sguardo” del collezionista e più
precisamente alla Collezione di opere africane di Fabrizio Corsi.
Si registra in Italia un interesse crescente per l'arte africana
e questo è il risultato delle grandi mostre organizzate negli ultimi anni
che hanno avuto, prevalentemente, un carattere storico o estetico. Nel
contempo, rare sono state le mostre che hanno studiato l'arte di un popolo
o di una regione, anche per la difficoltà di reperire nelle collezioni
disponibili sufficienti opere per illustrare temi così specifici. Questa
esposizione, invece, analizza una regione specifica dell'Africa Nera, a
cavallo dell'equatore, dal Cameroun alla Rep. Dem. del Congo ed incentrata
sul Gabon. Una zona dalla quale, fino a un decennio di anni fa, pochi
erano gli oggetti pervenuti nelle raccolte pubbliche e private, e che mai
era stata oggetto di una mostra pubblica in Italia così tendenzialmente
finalizzata. Le sculture esposte, offrono una panoramica non solo delle
popolazioni più importanti, quali Fang, Punu e Yombe, ma anche delle etnie
meno note. In questo modo, si evidenzia la peculiarità della zona e la
grande varietà degli stili artistici. Conseguentemente l'analisi del
significato delle opere eseguita da Fabrizio Corsi, analisi indispensabile
per la comprensione delle medesime e le cui forme sono collegate ai
rituali nei quali intervenivano, ha costituito una difficoltà molto
evidente, dal momento che numerose sculture appartengono a tipologie nuove
sulle quali non esistono ancora sufficienti studi approfonditi. Fabrizio
Corsi ha formulato ipotesi basate sulla lettura delle simbologie iscritte
sulle diverse opere, restando comunque aperto ai suggerimenti o alle
correzioni formulate da altri esperti di queste etnie africane. Approccio
nuovo e interessante se verrà recepito con spirito di collaborazione dai
diversi studiosi che visiteranno la mostra e solo in questo caso, come
afferma il Collezionista, l'esposizione avrà raggiunto l'obiettivo di
accrescere le nostre conoscenze sulla cultura di quei popoli.
Pertanto la mostra rappresenta essenzialmente lo sguardo di un
collezionista di opere africane, delle sue ricerche individuali e dei suoi
studi personali per la loro comprensione e la loro presentazione al
pubblico e non vuole offrire un'analisi definitiva, bensì, in qualche
fattispecie, delle ipotesi da confrontare e da verificare. La finalità di
questa mostra rientra negli obiettivi del nostro Museo, infatti, secondo
Marc Augè, Presidente del Comitato Ordinatore del Museo, «...Il Museo
degli Sguardi vorrebbe avvicinare il proprio pubblico alla dimensione
riflessiva della nostra relazione con l'arte degli “altri”».
Il dott. Fabrizio Corsi colleziona
arte africana da oltre trenta anni ed ha sempre dato, prevalentemente, un'
utilizzazione pubblica alle opere delle quali dispone. A tale proposito,
si ricordi la cessione delle opere africane raccolte fra il 1970 e il 1988
al Museo di Scienze Naturali “E. Caffi” di Bergamo (un interessante
'corpus' di 411 sculture). Attualmente la sua collezione è composta da
circa 630 opere. Inoltre ha realizzato una ventina di mostre in diverse
città italiane, tre delle quali all'interno di scuole a cui ha
indirizzato, quale obiettivo principale, la sua opera di diffusone della
conoscenza della cultura africana. Infine da oltre dieci collabora, anche,
alla rivista ”Africa-Mediterraneo”.
Rimini, 10 Marzo - 3 Giugno 2007
F.to: Maurizio Biordi
Dirigente Museo degli Sguardi"
- o -
Dopo la presentazione del
dott. Maurizio Biordi, trascrivo qui di seguito anche la mia recensione:
"Nella mattina del 24 Marzo
2007 Rimini ci offre un'aria fresca e pulita e Villa Alvarado, dall'alto del
colle di Covignano, continua a dominare fin dal 1721, con l'austero silenzio della
sua presenza, 'testimonial' di antiche ed attuali glorie, il rinnovamento delle
generazioni, il luttuoso passaggio delle guerre, il cambiamento repentino
e frivolo delle
mode, il trasformismo camaleontico della morale, le interpretazioni
pregiudizialmente antitetiche dei
decani membri di qualunque società, apparentemente paritetica, fondata da
un qualsivoglia re travicello. Oggi è la
bellissima, elegante ed accogliente sede del Museo degli
Sguardi, diretto, a mio avviso, magnificamente dal Dott. Maurizio
Biordi*, il quale, oltre lo sguardo scontato, ripetitivo, fatale ed
invulnerabile degli
esperti classicisti belligeranti sulle scoperte degli altri, propugna la
ricerca delle innovazioni, offrendo all'uopo e per il buon fine validi
strumenti ed ottime strategie agli studiosi
ed agli appassionati che sono immuni dalla patologia del possesso di
qualsiasi oggetto, altresì ricercato da psèudo-collezionisti e falsi
amatori che usano il famoso bilancino per conoscerne il valore venale,
disdegnandone quello culturale, non possedendo lo strumento idoneo per ben
misurarlo. In questo ristrettissimo settore delle "Arti Altre", esistono
diverse tipologie di collezionisti, ma due sono le posizioni dominanti: la
più numerosa, naturalmente, è quella composta da una comunità di individui
che hanno bisogno di un qualunque Tirtèo che li infiammi prima della pugna, di
un buon pastore che li rassicuri e di cui ne osannano le verità illudenti
e non hanno mai il desiderio di constatare di persona e di esprimere un
proprio giudizio; l'altra posizione è costituita da singoli individui che
studiano, ricercano, sperimentano, confrontano ciò che trovano, possiedono la
rara grandezza di ammettere gli eventuali errori dai quali,
conseguentemente, ne trarranno, in senso speculativo, la giusta esperienza per aumentare il peso della conoscenza che condivideranno
con interscambio simbiotico ed anche per osmosi inter pares.
In merito al Dott.
Maurizio Biordi, devo render pubblico il sincero ringraziamento a lui rivolto per
l'ospitalità riservatami e per la grande, evidente ed indiscussa professionalità nel gestire
quanto è patrimonio di tutti e nell'espletare la nobile missione di divulgare
varie gradualità di conoscenze con il supporto dei pochi mezzi che sono a sua
disposizione.
Entriamo nelle sale che
ospitano alcune opere della collezione di Fabrizio Corsi e precisamente
quelle relative alle etnie della foresta tropicale equatoriale africana:
nell'ammirare tra luci ed ombre il prezioso contenuto delle varie teche, soltanto colui che non si interessa di tali opere non capirà mai
l'emozione che fa sussultare, al contrario, il cuore di coloro i quali vivono giorno e notte a studiare ed analizzare maschere, sculture e tutto ciò che si
propone come lo specchio del nostro passato, foriero di simboli atavici,
di reminiscenze religiose e di parallelismi tribali. Non mi soffermerò ad
analizzare le singole opere né il loro significato o la loro valenza estetica, non
essendo questa la sede adatta ed anche perché invito gli interessati a
visitare la mostra e a non fidarsi ciecamente in modo fideistico delle valutazioni degli altri, comprese
quelle del sottoscritto, ma eventualmente a recepirle come punto di
riferimento ed a confrontarle con le proprie. Ma una cosa è certa: le opere
tribali, per ciò che ho
potuto constatare ed a mio avviso, sono autentiche e, nella
globalità, ho potuto distinguerne le normali diversità in atto sia per la fattura che per l'età:
prerogative semantiche di ogni collezione che si rispetti. L'impatto estetico non
sempre è folgorante tanto da confondersi con la saturazione della meraviglia, come
parimenti resta fiabesco ed aleatorio l'assolutismo della valutazione
relativa all'epoca, ma è proprio questa oggettiva diversità che rende
molto affascinante la cernita dei valori, come con l'uso tradizionale di stacci
dapprima radi e poi di volta in volta sempre più fitti, con mezzi e
strumenti della propria
ed esclusiva conoscenza, il cui
risultato, più o meno valido, è direttamente proporzionale all'entità di questa
ultima. Ben vengano iniziative lodevoli e didattiche come questa della
mostra "Viaggio in fondo alla notte": la cultura ripaga, sempre. Ed anche
se non è questo il caso, si commettono spesso degli errori, ma soltanto chi
non fa nulla non sbaglia mai, ed avrà comunque la nauseabonda arroganza di
dichiararsi infallibile.
Ringrazio anche il Dott.
Fabrizio Corsi, ottimo collezionista e ricercatore per le arti africane,
per la particolare e cordiale accoglienza usata nei miei confronti e a cui
offro ogni mia incondizionata collaborazione, avendo constatato e compreso, attraverso le
poche ma incisive parole scambiate, la sua immensa passione,
l'amore e lo spirito di ricerca che ha donato per la semplice affermazione dei suoi
intenti: tutti quelli che ogni buon collezionista vuole trasmettere agli
altri appassionati e dunque esserne appagato e soddisfatto."
Rimini, 10 Marzo - 3 Giugno 2007
F.to: Marcello Lattari
Dott. Maurizio
Biordi*:
Archeologo
Dirigente Musei Comunali
(Rimini)
Ispettore Onorario
Ministero Beni e Attività Culturali (Roma)
Delegato Comitato
Nazionale Italiano I.C.O.M.
(International Council
of Museums, UNESCO - Parigi)"
- o -
Naturalmente continuo a
narrare gli avvenimenti intrappolandoli nelle predette premesse di
questo lavoro. Presa conoscenza del significato di questa mostra, il
lettore sarà curioso di sapere del perché io mi sia soffermato a
ricopiare due testi di già pubblicati. Ebbene, durante e dopo lo
svolgimento della mostra, da parte di alcuni semplici collezionisti, riuniti
in un gruppo per scambiarsi vicendevolmente ogni eventuale nozionistica
sull'argomento, vennero veementemente sollevate molte critiche
inverosimilmente feroci,
fortemente censorie, efficacemente aggressive, non meglio e ben identificate urla di
sofferenza per le ferite riportate in nome e per conto della purezza
delle Arti Africane fino alla materializzazione di una vera minaccia di
costituire una ribellione avente il compito nella sua esecuzione di
portare davanti alle accademie od agli altri organi ufficialmente
preposti la incresciosa ed insopportabile situazione dei fatti affinché
venissero adottati provvedimenti ufficiali, quali il pubblico ludibrio,
la gogna o chissà quali altre punizioni e si gridò furiosamente allo scandalo ed alla bestemmia, rischiando
di rivedere, dopo molti secoli, la
visione di Anna e Caifa che stracciavano le loro vesti. Ma cosa era
successo? Alcuni auto-referenziati "puristi" delle Arti Africane insorsero
in modo sconsiderato contro il collezionista Fabrizio Corsi e contro l'ottimo
dirigente del Museo degli Sguardi, dott. Maurizio Biordi, accusandoli di
aver infangato il buon nome dell'arte tribale africana presentando al
pubblico una serie di oggetti falsi e soprattutto in un luogo pubblico
come il Museo degli Sguardi. E' chiaro che tutto ciò, in ogni sua parte, che è oggetto di
questa narrazione è coperto e corroborato da inconfutabili prove scritte
che, in ogni caso, sono a disposizione di chiunque voglia prenderne
visione. La cosa mi angosciò estremamente e mi chiedevo su quali basi
poggiassero le asserzioni di questi semplici e stimati collezionisti ed il
motivo che li spingesse a denigrare l'opera soprattutto didattica della
mostra. Oltre tutto la denigrazione aveva generato, nel suo modo
d'essere, anche l'irrisione al di là della pura cattiveria gratuita di qualcuno che
ironizzava sulla "mostra" come moglie del "mostro" o "mostriciattola", "mostrucola"
ed altri aggettivi "da bar dello sport" e da "inverecondi lupanari" che,
a mio avviso, mal si confacevano all'apparentemente rispettabile livello
stesso delle persone che ne erano stati indiscussi propugnatori. Ma
molte volte "il gruppo", con la sua psicologia silente, gustosa e
proditoriamente infida e subdola come un dolcissimo ingannevole veleno,
induce all'esteriorizzazione dell'intimo per cui ciascuno del gruppo,
nutrendosi incoscientemente di uno pseudo delirio di onnipotenza,
vigliaccamente confortato dall'ipotetica ed inesauribile forza degli
altri componenti, procede nel campo di un assunto secondo il quale ogni
suo concetto è identico a quello di tutti gli altri e pertanto è
seriamente oggettivo ed inoppugnabile. A
questo punto ero certo che almeno qualcuno del gruppo fosse accreditato
legalmente "esperto" riconosciuto ufficialmente dai tribunali o dalle
accademie: niente di tutto questo. E allora: a che titolo? Questa è una
delle risposte che il lettore dovrà dare a sé stesso.
Talvolta anziché hobby
piacevole e salutare, che può creare reti di amicizie, con cui
condividere gli stessi interessi, arrivando a forme di complicità
intellettuale, in grado anche di poter limitare lo stress, il
collezionismo assume le sembianze di un’autentica forma patologica,
trasformandosi in un bisogno quasi assoluto o in un disturbo
ossessivo-compulsivo
nel quale il desiderio di possesso e di ordine hanno conseguenze
emotive sulle persone. Occuparsi della collezione è l'unico modo per
tranquillizzarsi. In alcuni casi limite, l'oggetto collezionato acquista
un valore erotico, al limite del
feticismo e anche la banale pulizia della collezione può assumere le
sembianze di un rituale.
Può addirittura accadere che una volta in possesso dell’oggetto della
propria ossessione questo venga quindi ignorato, senza tentativi di
organizzare la collezione.
Questa ed altre manifestazioni schizoidi sul possedere, sul celare
gelosamente, sul prevalere del proprio su tutti gli altri, non
fanno parte del collezionismo, ma di una
seria degenerazione dello stesso. Il collezionismo diventa allora un
atteggiamento miserabile, meschino e solitario, e come tale viene
talvolta erroneamente percepito dalla maggioranza dei non-collezionisti.
Già Stendhal doveva essersi scontrato con qualche forma aberrante di
collezionismo per arrivare a dire che: “Nulla
rende lo spirito angusto e geloso come l’abitudine di fare una
collezione”.(4)
Lungi dal pensare ad un
disturbo ossessivo-compulsivo di massa: potrei anche io esserne affetto.
Ma, nell'analisi della mia anima di collezionista, non mi risulta di
aver mai fatto prevalere le mie cose su quelle degli altri, né celato
gelosamente: a tal proposito si guardi parte della mia collezione
pubblicata sul sito africarte.it; anzi sono stato criticato per essere
stato troppo benevolo e possibilista sulle cose degli altri, inducendo
in gravissimo errore il possessore del manufatto: niente di più falso.
Analizzando dunque lo strano quanto imprevisto comportamento degli insorti che
a modo loro affilavano le armi
per sopprimere gli infedeli, pur non avendo né i titoli e né i numeri
per esercitarne una delegittimazione,
rasentando idealmente il reato di calunnia non efficace in quanto
consumato nell'ambito di un limitato forum per iscritti e dunque non
pubblico, dimostrandosi alla fine inconcludenti demolendo con il
silenzio e relativa ritirata la loro stessa azione, sono tornato a
leggere attentamente
un brano della presentazione a firma del dott. Biordi: "Il dott.
Fabrizio Corsi colleziona arte africana da oltre trenta anni ed ha
sempre dato, prevalentemente, un' utilizzazione pubblica alle opere
delle quali dispone. A tale proposito, si ricordi la cessione delle
opere africane raccolte fra il 1970 e il 1988 al Museo di Scienze
Naturali “E. Caffi” di Bergamo (un interessante 'corpus' di 411
sculture)."
Fabrizio Corsi: ecco un
autore di collezione! Adesso capisco il motivo per cui si entra con
precisa rotta di collisione in
un inevitabile conflitto tra il sedicente gruppo di "semplici
ed onesti collezionisti", opulenti e ricchi possessori di collezioni ed il
collezionista Fabrizio Corsi, autore di collezione. Ed
analizzeremo anche il livello della suddetta collezione. Ma
procediamo con un preciso ordine e con una seria e cronologica propedeuticità dei concetti nella narrazione.
"Nel 1989 Aldo Perolari,
collezionista e intenditore d'arte, avendo compreso l'importanza dei 413
pezzi provenienti dall'Africa sub-sahariana, li acquistò per donarli alla
città di Bergamo, che in segno di gratitudine intitolò a suo nome la
sala etnografica."(5) Questo è quanto si legge nella pagina internet del
sito ufficiale del Museo E.Caffi di Bergamo, in riferimento alla
provenienza di 413 pezzi dell'Africa sub-sahariana; e di seguito lo
scritto continua in una descrizione che rende giustizia alle qualità
delle opere e della quale riporto soltanto il brano introduttivo che
così recita: "E' necessario premettere che, pur trattandosi di
reperti particolarmente significativi, ogni singolo oggetto è
forzatamente privo di ogni altro complemento. Perfino le bellissime
maschere, senza i costumi dai vivaci colori, gli oggetti rituali, le
musiche, i canti, l'ambiente e ogni altro elemento cerimoniale, non
rendono che una pallida idea della effettiva ritualità."(5)
E' intuibile, da ciò che può
essere compreso dallo scritto nella pagina internet del Museo E.Caffi,
che i 413 pezzi siano giunti a Bergamo dall'Africa da soli e magari in
fila indiana e che il Perolari, avendone compreso l'importanza, li abbia
effettivamente comprati, ma non si capisce bene da chi in quel momento
ne fosse l'effettivo proprietario. Eppure è noto che anche i semplici
ed onesti collezionisti non acquistano mai nulla che non abbia una provenienza
storicizzata e, dunque, mi posi l'interrogativo del come e del perché
mai un Museo avesse potuto accettare, con siffatta faciloneria, dei
manufatti africani di provenienza ignota.
Veramente ossessionato da
tal dubbio che come un tarlo mi logorava l'esistenza diurna e notturna,
finalmente decisi di porre la parola fine a questo deprimente stato di
angoscia derivatomi dalla mancanza di specifica conoscenza e partii alla
volta della bellissima
orobica città di Bergamo con l'obiettivo di visitare il Museo E. Caffi.
Per la verità un ottimo museo colmo di perle di conoscenza soprattutto
naturalistica. Ma il mio principale interesse, per non dire unico, era
rivolto al settore della esposizione etnografica per visionarne le
collezioni. Mi approvvigionai del piccolo catalogo che era in vendita
presso la biglietteria, non avendo potuto ottenere il catalogo originale
che era stato pubblicato in occasione dell'inaugurazione in quanto
esaurito anche presso l'editore, e mi avviai per la visita. Nel
frattempo sfogliavo il piccolo catalogo per capire il percorso museale e
mi soffermai su alcune frasi facenti parte dell'introduzione che voglio
riportare integralmente:
"Divenuto Ente civico nel
1917, il Museo di Scienze Naturali già vantava una piccola ma importante
collezione di oggetti etnografici provenienti dal Nord America e
dall'Africa sub-sahariana. Gli oggetti americani costituivano una
raccolta effettuata personalmente dall'esploratore bergamasco Giacomo
Costantino Beltrami mentre ricercava le sorgenti del Mississippi; le
altre collezioni provenivano da viaggiatori che a vario titolo avevano
riportato oggetti africani e sudamericani dall' 800 ai primi anni del
"900, portando la raccolta a circa 200 reperti.
Ma è nel 1989 che la
sezione etnografica prende letteralmente il volo. Il comm. Aldo
Perolari dona alla civica amministrazione una stupenda collezione di
oggetti africani, collezionati con competenza da Susanna Sedgwick e
Fabrizio Corsi negli anni "70. Il gesto generoso arricchisce il
patrimonio cittadino e il Museo di Scienze Naturali, che si accolla
l'onere di conservare e valorizzare nel tempo la raccolta. Essa è
costituita da 413 pezzi qualitativamente notevoli provenienti da 86
società tradizionali dell'Africa sub-sahariana, parte dei quali, dal
2001, vanno ad inserirsi in un'adeguata cornice spaziale, atta a
metterne in evidenza ogni valenza. La sacralità che pervade questi
manufatti dà loro un eccezionale aggiunto. Inoltre, la raccolta include
rari e quindi preziosi reperti archeologici. La collocazione nel Museo
di Scienze Naturali non deve stupire poiché questi manufatti fanno
strettamente parte della storia dell'Uomo, del quale riflettono la
cultura e l'evoluzione del pensiero." (6)
Ora mi è tutto più chiaro,
anche se ancora non riesco a spiegare alcuni aspetti della vicenda. Ma
nello svolgersi degli accadimenti sicuramente troverò la risposta ai
miei interrogativi. Siamo arrivati al punto di non avere più alcun
minimo dubbio sulla capacità del Dott. Fabrizio Corsi di costruire con
assoluta competenza una vera collezione di Arte Africana e tali siffatti
dubbi sono stati fugati definitivamente dalla legittimazione museale.
Una collezione splendida in cui si nota il sentimento che è stato
l'ispiratore e la guida della sua costruzione: l'amore per l'arte
africana. Il Corsi "firma" la "sua" collezione con la sua autorevolezza
e con la sua autorità essendone il suo orgoglioso autore. Come un
pittore o uno scultore che "inventa" la sua pittura o scultura, fin da
quando nella sua mente cominciano a configurarsi le immagini ed i
significati, considerandoli e correggendoli, cimentandosi nella
materializzazione di un disegno o di una bozza, rifiutandola e di poi
riaccettandola, costruisce e definisce "la sua opera d'arte" ammirandola
come "sua creatura" fino a porre in ultimo il sigillo della propria
identità, volgarmente chiamata "firma", così, con il percorso analogo,
l'autore della propria collezione appone con soddisfazione su di essa il
proprio sigillo che, come abbiamo già considerato, sarà eterno e non
potrà giammai essere alienato o spogliato della sua immortalità. E come
il pittore o scultore che ha creato la sua opera, firmata della propria
identità, e la cede ad un acquirente in cambio del corrispettivo in
denaro resta l'autore dell'opera anche dopo averla alienata, così pure
l'autore di una collezione, cedendola a vario titolo ad un possessore di
collezione, ne resta per sempre l'autore, anche dopo averla alienata.
Tanto è che nella storia delle più grandi e famose collezioni di arti
tribali del mondo, passate di mano in mano durante il trascorrere del
tempo e nelle alternate vicende e condizioni umane, e soprattutto nella
loro genealogia, vengono trascritti tutti i vari passaggi di possesso,
dall'autore, che resta comunque unico, agli altri possessori e così fino
all'ultimo che ne detiene il possesso fino al prossimo ed eventuale
futuro passaggio. E come l'identificazione e l'attribuzione certa
dell'opera d'arte non necessariamente risulta dall'apposizione di un
sigillo autografo, bensì dalla composizione stessa dell'opera, creata
secondo i canoni e la magistralità della creazione dell'autore,
consentendo agli esperti di immediatamente classificare ed attribuire
un'opera d'arte ad un autore anziché ad un altro, così pure l'analisi di
una qualsiasi collezione, pur sempre nel nostro campo dell'arte tribale,
porta in sé le informazioni destinate agli esperti per individuarne
anche caratterialmente una possibile identificazione ed una eventuale
attribuzione. Faccio riferimento all'interfaccia di reciprocità tra il
collezionista e la sua collezione. L'esperto in musica basta che ascolti
soltanto tre note per attribuirle a Mozart, anche senza firma. E poi,
oltre tutto, alla Storia non la si fa: ricordiamoci sempre del "nostro
amico" Verre.
Scrivevo poco prima che ci
sono degli aspetti della vicenda che non riesco a spiegare. Difatti i
nostri semplici ed onesti collezionisti che hanno prodotto un immenso
rumore di dissenso nei confronti di Fabrizio Corsi e Maurizio Biordi
evidentemente hanno confuso ed invertito i ruoli. Essi stessi, infatti,
sono incappati in manifestazioni schizoidi come quella sul "prevalere del proprio su tutti gli altri",
ovvero del proprio "sapere" su quello di Corsi e di Biordi. Tutto
questo, oltre a sfociare prima nel ridicolo e poi paludarsi nel
patetico, resta come un'indelebile pagina nera scritta a se stessi. Infatti qualcuno dei semplici
collezionisti, probabilmente posseduto da comprensibili conseguenze
emotive, assume le penose sembianze di una vittima di un’autentica forma
patologica quando, nel criticare Maurizio Biordi, oltrepassa il limite
della correttezza e riferisce che quest'ultimo, in riferimento alle arti
africane, non riesce a distinguere un asparago da un carciofo. Chi: il
Dott. Maurizio Biordi?, L'Archeologo?, Il dirigente dei Musei Comunali
(Rimini)?, L'Ispettore Onorario
Ministero Beni e Attività Culturali (Roma)?, Il
Delegato Comitato
Nazionale Italiano I.C.O.M.(International Council
of Museums, UNESCO - Parigi)? Si, purtroppo, proprio lui. Riflettendo con
attenzione su questa reazione, penso che bisognerebbe stabilire e non
invertire i ruoli. In tutta questa vicenda risulta in modo inconfutabile
che la legittimazione di Fabrizio Corsi come collezionista museale di
arte africana sia universalmente riconosciuta e non credo si debba
aggiungere altro se non definire, per splendida reciprocità, anche la
propria legittimazione dalla presenza della sua collezione presso il
Museo E.Caffi. Al contrario, il gruppo dei semplici ed onesti
collezionisti è privo di qualsiasi minima autorevolezza a norma di
legge: a che titolo hanno indirizzato critiche anche di
delegittimazione? L'usurpazione della professione di critico d'arte
risulta evidentissima e viene perpetrata con sostituzione ideologica e
gratuitamente nei confronti dei veri critici d'arte accreditati ed in
danno grave del Corsi con azione continuativa. Siamo giunti a "un
discorso nel quale, poste alcune cose, ne derivano necessariamente
altre, per il fatto stesso che quelle sono state poste". Infatti perché
Fabrizio Corsi è legittimato per il Museo E. Caffi di Bergamo e non per
il Museo degli Sguardi di Rimini? Naturalmente questo è il pensiero del
gruppo dei semplici ed onesti collezionisti che io respingo con forza,
pensiero che spero sarà rivisitato anche dallo stesso gruppo, perché,
altrimenti, sarebbe come negare l'evidenza. In secondo luogo analizziamo
"ogni forma di ragionamento con cui si dimostri il logico conseguire di
una verità da un’altra, di un giudizio da un altro" e valutiamo in modo
impeccabile il comportamento del Dott. Maurizio Biordi, il quale ha ben
agito nell'interesse del Museo degli Sguardi di Rimini permettendo la
mostra del Corsi che, da tutto ciò che ne è derivato in questo scritto,
risulta essere in Italia uno dei più accreditati collezionisti viventi
di arte africana e che la sua splendida collezione, chiamata di poi
"Collezione Perolari", sia orgogliosamente diventata fin dal 1989 il
fiore all'occhiello del museo E.Caffi di Bergamo.
- o -
Conclusione
Ho detto di argomentazione
che consta di due premesse e di una ovvia conclusione. Ho cercato di
esprimere i concetti per come era logico e corretto esprimerli e spero
di esservi riuscito. Comunque era un dovere per me dire la mia verità su
di un episodio passato sotto tono e rendere giustizia ad una persona,
Fabrizio Corsi, che normalmente vive nell'ombra, non essendo egli
pratico dei computer e di internet, ma di cui, altresì, si dovrebbe
avere la massima considerazione, per la sua esperienza, serietà,
raffinatezza del gusto, cultura, bontà e signorilità. In virtù delle due
premesse, possiamo indicare che può identificarsi nella definizione del
sostantivo "Collezionista" sia l'autore di una collezione, sia il
possessore di una collezione. La differenza è sostanziale. Mentre l'autore,
animato da un forte spirito di ricerca, utilizza la sua arguzia, la sua
cultura e la sua passione dello scoprire per entrare in possesso di
oggetti sconosciuti, il possessore si impadronisce, a vario
titolo, di ciò che hanno scoperto gli altri. Dunque la raccolta del
ricercatore è un insieme di oggetti i quali, ognuno per ciò che
rappresenta nell'invenzione dello stesso e nelle vicissitudini trascorse
per impossessarsene, concorrono alla scrittura di tutti gli episodi che
colmano l'intera vita dello stesso ricercatore. Al contrario il
collezionista che si impadronisce o compra gli oggetti scoperti dagli
altri, deve tenere una contabilità da ragioniere e mettere in ordine le
fatture di acquisto che serviranno alla compilazione della
storicizzazione degli stessi oggetti, erigendo in siffatto modo un muro
di scartoffie tra sé ed il suo oggetto, senza alcuna comunicazione
simbolica o stimolazione di un qualsiasi ricordo. I numerosi anni
trascorsi da Fabrizio Corsi in Africa sono ormai parte della storia del
collezionismo italiano riferito all'arte africana sub-sahariana e
giammai nessuno potrà contestarne la sua importanza, in qualunque modo.
La sua primaria e prevalente azione, smodatamente contributiva per la
didattica, è rivolta alla comunicazione dei vari linguaggi simbolici,
esoterici ed amabilmente intrisi di globalizzazione umana, patrimonio
della saggezza dei "primitivi" africani con soprattutto le nostre nuove
generazioni, indicando loro che la saggezza della vita non risulta
soltanto dalla tecnologia e che questa stessa è derivazione
dell'intelligenza dell'Uomo, nella sua collocazione planetaria. La sua
giovialità e la sua pazienza nello spiegare i vari significati evidenti
e nascosti scritti tra le righe degli oggetti ai curiosi visitatori,
soprattutto giovani, delle sue mostre mal si coniuga con l'atteggiamento
egoistico nel saziare la propria patologia del possesso di chi,
guardando da solo, nella solitudine della propria stanza, gli oggetti
della sua collezione, non riesce a leggere un bel nulla della storia dei
singoli oggetti, di chi potesse essere il suo scultore, di chi lo abbia
con sacrifici commissionato per un suo "voto" e delle svariate
circostanze spaziali e temporali che hanno contribuito alla sua
acquisizione. Ma in fondo anche questi ultimi sono degli esseri umani
che, pur intrisi di patologie collezionistiche, come tali hanno
necessità di socializzare e pertanto si riuniscono in oligarchici gruppi
all'interno dei quali si pavoneggiano mostrando con velata cattiveria il
proprio miglior oggetto, affinché questa azione indispettisca gli altri
"soci" i quali, a loro volta invidiosi, reagiscono in egual modo e
misura generando a volte una seria lotta intestina, abilmente camuffata
da ampi sorrisi e riverenze varie di convenienza che smussano
ipocritamente gli angoli spigolosi di una mal sopportata convivenza.
Spero che Fabrizio Corsi,
con la sua personalità, magnanimità e forza che sono peculiarità proprie
di un leone, continui a stupirci in continuazione e possa regalarci
ancora molto della sua conoscenza, della sua fierezza e, ancor più,
della sua bontà.
Novembre 2009
Marcello Lattari
Appendice: Il collezionismo e la sua origine(7)
(Da Edizioni Golden Italia)
Il collezionismo,
oggi largamente diffuso, ha una storia che si perde nella notte dei
tempi; il gusto della raccolta, infatti, nasce con l’uomo e precisamente
con il suo istinto per la conservazione e l’accumulo prima delle riserve
alimentari, poi di oggetti anche superflui. Tra i collezionisti "ante
litteram" i faraoni, di cui si ricordano le fastose raccolte di ogni
tipo.
Tra essi Tutankhamon che si fece seppellire con la sua vastissima
collezione di bastoni e canne da passeggio, oltre a favolosi gioielli.
Amenofi III, il faraone che allargò i confini del suo impero 1300 anni
prima di Cristo e che fece erigere statue colossali, era un appassionato
collezionista di oggetti di smalto azzurro.
Assurbanipal raccoglieva statue ed obelischi. Nabucodonosor riunì a
Babilonia una spettacolare collezione di oggetti d’arte strappata ai
nemici vinti.
In Grecia l’orgoglio per la collezione si manifestò fin dai tempi più
antichi.
Tesori tolti al nemico vinto in guerra venivano esposti all’ammirazione
pubblica, in grandi locali vicino ai templi più famosi.
Si trattava di bottino di guerra, omaggio al dio protettore e nello
stesso tempo raccolta di opere d’arte.
Oreficerie, gioielli, tripodi, statue, stoffe pregiate confluivano nei
templi greci di Olimpia, Delfi, Efeso inviati dai condottieri vincitori
e, in qualità di ex-voto, dai cittadini che avevano ottenuto una grazia.
I sacerdoti catalogavano tutto con cura e sistemavano i tesori in locali
nei quali poteva affluire il popolo in certe grandi occasioni.
Si può dunque dire che queste raccolte furono le prime collezioni
diventate museo.
Il collezionismo in senso più moderno trionfò soprattutto a Roma.
I ricchi romani, in virtù delle loro molteplici conquiste, raccolsero
oggetti preziosi e ragguardevoli opere d’arte. Marcello fu il primo
collezionista della storia di Roma, ma il suo esempio fu subito imitato.
Silla il dittatore e Lucullo il proconsole dopo l’esposizione al
pubblico vollero che la maggior parte dei tesori adornassero le proprie
case.
Ciò diventò una mania: ornare le proprie dimore con capolavori tolti al
nemico.
Verre, Pompeo, Cesare, Cicerone furono fra i più appassionati
collezionisti dell’antichità.
Cesare collezionava cammei.
Verre, considerato il più grande collezionista che sia mai esistito, si
serviva di un piccolo esercito di ricercatori, trafficanti e mediatori
che sapevano come ottenere ciò che poteva interessare i collezionisti.
A Roma vi erano quartieri destinati a questo tipo di mercanti.
Sulla Via Sacra, vicino alla Villa Pubblica, antiquari, orefici,
scultori attendevano i clienti. Andavano di moda le collezioni di
oggetti d’arte greci soprattutto del V secolo.
Nascevano nel frattempo anche i nomi che indicavano le sedi delle
raccolte.
"Museo" era chiamato l’edificio costruito da Fidelfo ad Alessandria per
raccogliere opere d’arte ed era dedicato come dice il nome alle Muse.
Vitruvio chiamò "pinacoteca" il luogo ove si conservavano collezioni di
quadri.
Plinio chiamò "dattilioteca" la collezione di cammei.
A Roma per la prima volta nella storia Marco Agrippa parlò in favore di
un principio sancito poi definitivamente soltanto dalla Rivoluzione
Francese.
Egli disse testualmente: "la collezione costituisce sempre un patrimonio
culturale cui il pubblico ha il diritto di partecipare.
È quindi illegittimo il godimento esclusivo del privato che può
procurarsi le opere d’arte solo grazie ai suoi privilegi".
Il periodo del Medioevo fu tutt’altro che oscuro e nemico delle lettere,
dell’arte e della cultura. Soprattutto fu la Chiesa che salvò preziosi
culturali ed artistici detenendo quasi l’esclusiva del collezionismo.
Durante l’epoca delle crociate tornò in auge l’hobby del collezionismo
"di guerra" o mercantile.
Le nobili e ricche famiglie veneziane assunsero un ruolo non
indifferente in questo campo.
A Firenze tutti i membri della famiglia dei Medici (da Cosimo a Lorenzo)
incentivarono favolose collezioni di ogni genere.
Si passò così ad una fase di collezionismo edonistico e nelle corti
principesche italiane collezionare antichità, oltre che una moda,
divenne quasi un obbligo.
Ogni principe amava soffermarsi a lungo nel suo "camerino" o nel suo
"studio" a studiare o a godere il bello.
Cosimo, il "padre della patria" dei fiorentini, collezionò gioielli,
libri preziosi e rari, armi antiche e opere d’arte.
I suoi successori continuarono con passione le sue collezioni.
Lorenzo il Magnifico completò la biblioteca medicea e fondò un’accademia
d’arte che ebbe come allievo Michelangelo.
Tra le numerose raccolte più o meno "sacre" dei vari pontefici
ricordiamo quelle di Nicola V, Pio Il Piccolomini, Leone X (figlio di
Lorenzo il Magnifico) e Clemente VII.
Carlo V di Asburgo, Isabella D’Este, Caterina Sforza, Lucrezia Borgia
spendevano somme enormi per soddisfare le loro passioni
collezionistiche.
L’imperatore Rodolfo I fu il primo, nel Medioevo, a radunare eccezionali
collezioni scientifiche e naturali.
Nel Settecento si distinse la Pompadur, nell’Ottocento Federico II di
Prussia che prediligeva le tabacchiere e Caterina II di Russia, che fece
erigere il museo dell’Hermitage per ospitare degnamente le sue
incomparabili raccolte.
Fu superata nella sua bramosia soltanto da Napoleone, per il quale il
collezionismo rappresentò unicamente una forma esibizionistica di
potere.
Dal punto di vista del collezionismo ciò che accadde durante la
Rivoluzione Francese e l’Impero napoleonico non fu tutto negativo, anzi
venne sancito proprio grazie alla Rivoluzione il principio secondo il
quale l’arte apparteneva al popolo e non ad una ristretta schiera di
privilegiati.
Furono nazionalizzati nel 1793 i beni della corona e fu aperto al
pubblico il Museo del Louvre, chiamato "Museo della Repubblica".
Con il passare degli anni le più prestigiose ed importanti collezioni
d’arte private divennero statali o comunque aperte al pubblico: nel 1797
fu aperto il Friedrich Museum di Berlino; nel 1824 George Beaumont
donava la sua collezione allo Stato, dando così origine alla National
Gallery di Londra; nel 1840 fu aperto al pubblico l’Hermitage di San
Pietroburgo; nel 1843 il Victoria and Albert Museum.
Ai nostri giorni il collezionismo ha raggiunto una tale dilatazione da
poter essere considerato a tutti gli effetti un fenomeno di massa.
Come movente del collezionista moderno si può individuare l’esigenza di
reperire qualcosa di distensivo, rilassante, atto a compensare
l’individuo dallo stress quotidiano che la vita odierna comporta.
E non è tanto l’entità pecuniaria che gli oggetti di una collezione
rappresentano a stimolare l’odierna disponibilità a collezionare, ma
piuttosto l’interesse a circondarsi di ciò che piace, l’impegno per la
ricerca degli oggetti, la curiosità di conoscerne la provenienza, la
funzione, la collocazione storica e geografica, il piacere di ordinarli,
catalogarli, sistemarli in bacheche, cornici, album e raccoglitori.
Collezionare è sinonimo di pazienza, di gusto, di sensibilità, di
interesse culturale, indipendentemente dal pregio e dal peso pecuniario
che il raggiungimento di taluni oggetti comporta.
Ogni pezzo di una collezione qualsiasi, per quanto modesto possa essere,
ha una sua anima, una sua connotazione, un suo fascino, un suo
significato semantico, oltre a quello che il collezionista gli
attribuisce.
Uno dei piaceri del collezionista è quello di entrare in rapporti con
altre persone, in tutto il mondo, che coltivano gli stessi interessi ed
oggi questo contatto è reso ancora più facile con la "navigazione" in
Internet.
Si possono così scambiare direttamente informazioni, pareri, consigli ed
anche "doppioni" (per via postale, naturalmente).
Tra i collezionisti di uno stesso genere di oggetti vi è solitamente un
rapporto di amicizia e quasi mai sorgono rivalità.
(7: Articolo trascritto da
"Edizioni Golden Italia")
Bibliografia:
1) http://www.treccani.it
2) Susan Pearce - Università di Leicester
3) Marco Tullio Cicerone
4) http://www.infotappeti.com -
Paolo_GE
5) http://museoscienze.comune.bergamo.it
6) Museo di Scienze Naturali E. Caffi-Guida alle
Collezioni Etnografiche
7) http://www.goldenitalia.com
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