Elisabetta Pozzetti
MAL D'AFRICA
Nasce lontano, negli anni Settanta all’età di
ventiquattro anni, la folgorazione, perché di questo si è trattato, di
Marcello Lattari per l’arte africana. La stessa folgorante attrazione
che forse colpì a suo tempo la fantasia di Picasso che per le sue Les
Demoiselles d’Avignon del 1907, opera manifesto del movimento
cubista, scelse maschere d’arte “negra”; la stessa tensione che mosse
Modigliani e poi Brancusi ad attingere da quella arte la sintesi purista
delle forme capaci in pochi segni di deflagrare nell’emotività di colui
che le osserva ancora oggi. La stessa passione mosse Vlaminck, Derain,
Matisse, Giacometti, Klee, Leger, Mirò - anche Gaugin seppur interessato
all’arte oceanica - e tutti dirottarono il proprio fare artistico su una
strada nuova che usciva da una commistione tra il linguaggio loro
proprio e quello primitivo, caratterizzato dal recupero del mito, di
un’identità atavica creduta ormai perduta. Emblematiche le impressioni
di Picasso alla visita nel 1907 al Musée d’Etnographie del
Trocadéro: per lui quelle maschere, quelle sculture erano prima di tutto
“cose magiche”, “mediatrici”, “tramiti” tra l’uomo e le forze oscure del
male, potenti al pari degli spiriti “minacciosi” presenti nel mondo, e
“strumenti” ed “armi” con cui liberare se stessi dai pericoli e dalle
ansie che affliggevano l’umanità.
Per tutto il XX secolo l’arte africana ha così portato
nuova linfa attraversando correnti, poetiche e artisti: dal Die
Brucke al Blau Reiter, ai Fauves, da Dada al
Surrealismo, da Sebastian Matta a Jackson Pollock, all’Informale,
passando attraverso il gruppo Cobra, che farà proprio l’impulso
liberatorio dell’arte primitiva, al gruppo Fluxus di Georges
Maciunas, Nam June Paik, Yoko Ono, a quello Gutai in Giappone,
agli happenings di Allan Kaprow e Jim Dine, dall’azionismo
viennese che inscenava violente azioni sul corpo sottoposto a una
“ritualità sacrificale”, alla body art, dalle “azioni
sciamaniche” di Beuys all’arte povera di Merz, Kounellis, Penone,
Boetti, fino a Pino Pascali. E ancora, negli anni Ottanta, come non
ricordare Baselitz tra i Nuovi Selvaggi e gli esponenti del
Graffitismo, Haring e Basquiat, capaci di rinnovare il paesaggio
urbano e metropolitano attraverso immagini simboliche e arcaiche,
tradotte in termini di nuovo tribalismo. In Italia a tutt’oggi Mimmo
Paladino e Nicola Carrino continuano ad attingere da quel fecondo magma
creativo sito nel continente africano.
L’arte africana dunque ha appassionato e suggestionato
l’immaginario di molti, avvertita da sempre come espressione di
un’impronta genetica primitiva, di un topos interiore, un luogo
archetipo della mente e dell’anima, che raccoglie quel sopito “pensiero
selvaggio” che accomuna gli uomini di ogni latitudine e le radici
antropologiche di tutte le civiltà.
Marcello Lattari nel corso degli anni si è circondato di
tanti mondi, tante storie radicate in tante culture diverse: ogni
scultura, ogni oggetto si racconta col suo carico di elementi liturgici,
sacri e leggendari. Ciascun materiale trasuda dalla patina il vissuto di
una quotidianità antica seppur ancora in uso. Per Lattari preminente è
l’importanza estetica dei pezzi della sua collezione piuttosto che la
sola esclusiva valenza storica: per lui l’antichità viene dopo
l’artisticità, tenendo anche conto che la conservazione dei manufatti
lignei in Africa è assai difficoltosa per gli attacchi xilofagi delle
termiti.
La sua collezione abbraccia idealmente una fascia
temporale compresa tra i 150 e i 30 anni fa, e deriva da una ricerca che
non è mai stata volta ad una tesaurizzazione, ad una speculazione
economica o ad un’eventuale successiva vantaggiosa rivendita: Lattari è
un collezionista di altri tempi, un ricercatore che da 35 anni circa
batte le strade del mondo, soprattutto africano, convinto di poter
aggiungere, coi suoi ritrovamenti, qualche tassello in più alla
storiografia dell’arte africana. Non è un caso che i siti da lui
realizzati (www.africarte.it-www.africarte.eu)
incoraggino alla piena condivisione di dati, iconografie, tracce per
addentrarsi ulteriormente nella storia, nella cultura di quella specie
umana di cui tutti noi siamo figli. Per tutti questi motivi per il
collezionista diviene impossibile quantificare economicamente il prezzo
di ciascun esemplare. Ad oggi ne possiede poco meno di duecento
acquistati direttamente in Africa, o da importatori, o presso gallerie
specializzate in Francia, Belgio, Germania e Canada, oppure sulle
gallerie on-line, a volte pure nei mercatini d’antiquariato.
I suoi sono tutti pezzi autentici realizzati in zone
diversissime presso etnie altrettanto diverse e uniche per le loro
tradizioni. Spaziano dall’astrattismo puro, caratterizzato da una netta
sintesi figurativa, a realizzazioni antropomorfiche e zoomorfiche,
fedelmente legate al dato reale. Ci si può imbattere in maschere
splendidamente ornate di conchiglie Cipree, Cauri secondo il nome
indostano, raccolte nelle isole Maldive. Fin dall’antichità usate come
monete, in Africa, verso il 1900, 100 cauri valevano da 5 a 20 centesimi
in oro. Una maschera facciale come quella dei Bashilele (fig.1)
diviene in tal senso espressione viva dell’utilizzo delle conchiglie
come puro ornamento estetico e come riferimento simbolico al “valore”
economico dell’offerta preziosa agli antenati. Ma esistono anche
maschere-enigma come la Maschera Mukuy (fig.2), proveniente dai
popoli Shira-Punu-Lumbo. Queste maschere bianche usate dalla maggior
parte dei popoli dell'attuale Gabon si notano, innanzi tutto, per la
loro raffinatezza e poi per la loro straordinaria somiglianza alle
maschere teatrali del Giappone. Esperti di arte e storia africana ad
oggi non sono riusciti a formulare una spiegazione plausibile alla
presenza nella foresta tropicale africana di icone decisamente similari
per fattura alle maschere orientali. Sussiste pure l’anelito
all’astrazione, dettato dall’infittirsi delle geometrie e dalla
stilizzazione formale, come nella Maschera n'golo (n'golo kun)
(fig.3), composta di materiali vari e utilizzate per finalità
sacrificali.
Simili oscillazioni pendolari di gusto si evidenziano
anche nei ritratti. Come avviene nella resa dei lineamenti del ritratto
(fig.4) realizzato presso il popolo Gouro, emigrato anticamente dal Mali
nella Costa D'Avorio. In questo esemplare grande importanza viene data
all’acconciatura che per la moda tribale consisteva per le donne Gouro
nel passare una ciocca di capelli in un cubo forato di legno o di
avorio. Anche le scarificazioni sono segno distintivo della tribù di
appartenenza. Interessante allora esaminare la Testa rituale
(fig.5) composta di legno, tela di sacco e caolino, proveniente da Bini
(Benin). In questa si evidenzia lo stile della corte del Benin, che a
sua volta deriva da quello di Ife, dal quale recupera la lavorazione del
bronzo applicata a materiali più poveri quali il legno, come avviene per
questa testa rituale ekpo, che imita nella fattura, le teste
degli antenati reali del Benin. Seppur stilizzata anche la Statua
magica "nkondi" del Kongo-Yombe (Repubblica Democratica del
Congo) (fig.6) non può che richiamare ancora oggi l’uso rituale e
sacrificale che in passato ne è stato fatto. È realizzata con legno,
ferro, fibre vegetali, pezzi di vetro a specchio, terra cosmetica rossa,
caolino, materiale sacrificale di diversa natura. Questo feticcio
fungeva con molta probabilità da tramite con il sopranaturale.
Altrettanto particolare la statua maschile (fig.7) dell’antenato
mitologico più importante per il popolo dei Mambila (Nigeria dell'est a
confine con il Camerun - Bacino del Benoué ). Sul legno semiduro dipinto
con colori vegetali rivestito di una patina crostosa composta da varie
sostanze di materiale sacrificale, fanno bella mostra di sé le "spine"
di "cuore di legno" conficcate sulla testa. La triste fama di
antropofagia ha contribuito all'isolamento di questa etnia, come di
tutte le altre dello stesso bacino e soltanto da qualche decennio
possiamo attingere notizie che restano comunque insufficienti. Non può
infine mancare La prima coppia mitica (fig.8) del Dogon–Mali
realizzata utilizzando legno, ferro e pigmenti. Nella mitologia dei
Dogon, riportata da Marcel Griaule, il Dio Amma creò, dal fango, la
prima coppia immortale, dopo aver fallito la prima creazione. Da questa
coppia nacquero gli otto "geni " o " nommi " dai quali,
dopo diverse generazioni, derivano gli essere umani mortali.
Sono queste poche immagini per un patrimonio ricco,
prezioso, e ancora parzialmente sconosciuto. Vale la pena allora
continuare sui passi della scoperta e della costante ricerca se è vero
come ha scritto Picasso che “la scultura primitiva non è mai stata
superata” e se è vero anche quello che il nostro collezionista, Marcello
Lattari, sostiene con entusiasmo da anni: “se misurate l'arte africana
con il metro della vostra tradizione culturale, non potrete mai
conoscere quanto essa sia grande”.
Padova, Aprile-Maggio 2008
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Elisabetta Pozzetti
Docente dei corsi:
Elisabetta Pozzetti
nasce poco più di trent’anni fa in un assonnato e piovoso mattino di
fine novembre. Ad accoglierla le nebbie felliniane della pianura
reggiana, quella di Peppone e Don Camillo, di Zavattini e di Ligabue.
Cresce in una casa d’artisti popolata di gatti e libri, tele e
antiquariato.
Indecisa tra veterinaria e conservazione dei beni culturali,
opta per la seconda integrandola con quattro anni di studi di
restauro. Che le permettono, laureatasi, di lavorare al Centro
Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università degli Studi di
Parma, intervenendo, esperienza eccezionale, sulle opere di artisti del
Novecento, mitizzati sui libri di scuola.
All’attività di consulente sulla conservazione e il restauro
associa quella di responsabile organizzativa, dal 2000 al 2004,
dell’Istituto di Cultura “Casa Cini” di Ferrara curando oltre una
quarantina di mostre d’arte contemporanea.
In seguito assume l’incarico di
project manager del Centro Internazionale d’arte di Cultura di Palazzo
Te per le mostre "Semeghini e il chiarismo fra Milano e Mantova e
Mantegna a Mantova 1460-1506", svoltesi a Mantova nel 2006.
Nel 2007 coordina sul piano
scientifico e organizzativo altre mostre tra le quali "Arti
Contemporanee" presso Palazzo Beccaguti Cavriani di Mantova e "Rodin
et Claudel. Création et matière", realizzata a Étroubles in
collaborazione con la Foundation Pierre Gianadda di Martigny.
È dipendente della Soprintendenza per il Patrimonio Storico e
Artistico di Brescia, Cremona e Mantova, per la quale lavora nella
segreteria organizzativa delle mostre (si ricordano negli ultimi anni:
Andrea Mantegna e i Gonzaga: Rinascimento nel Castello di San Giorgio;
Lucio Fontana Scultore; Pier Jacopo Alari Bonacolsi detto l’Antico. Uno
scultore nella Mantova di Mantegna e Isabella d’Este).
Dal 2001 svolge attività critica curando progetti espositivi
e attività culturali in Italia e all’estero, in sedi pubbliche (tra le
quali i Musei Civici di Reggio Emilia; il Museo “Il Correggio”; Palazzo
Piccolomini di Pienza; il Museo “A. Bonzagni” di Cento, Palazzo Te e
Palazzo della Ragione di Mantova; Museo Masedu di Sassari; Castello di
San Michele di Cagliari; Castelli di Fiorano e di Ferrara; Porta
Decumana della Regione Valle d’Aosta; Casa dell’Ariosto a Ferrara; etc.)
e private (tra le quali la Fondazione “Centro Dionysia” di Villa
Piccolomini a Roma; Fondazione Villa Vecelli Cavriani di Mozzecane di
Verona; le Collezioni d’Arte della Fondazione Cassa di Risparmio di
Bologna; la Galleria Scaletta di Matera; il Museo Bargellini di Pieve di
Cento; etc.). Nel 2005 ha inaugurato a Étroubles, il progetto di parco
artistico internazionale "À Étroubles avant toi sont passées",
in collaborazione con la Fondazione svizzera Gianadda.
Oltre un centinaio le pubblicazioni scientifiche,
tra le quali si ricordano: Pirro Cuniberti. Donazione alla
Pinacoteca di Pieve di Cento (Minerva Edizioni, 2002); Alberto
Givanni. Africa oltre lo specchio (Minerva Edizioni, 2002); L’isolachenoncè.
Arte con la sindrome di Peter Pan (Publi Paolini Editore, 2003);
De Nittis. A Léontine (Silvana Editoriale, 2004); Alberto
Givanni. Boa Viagem. Reportage dal Mozambico (Minerva Edizioni,
2004); México. Artisti contemporanei (Editrice Compositori,
2004); Daniele Montis. Pienza, città ideale, sospesa fra cielo e
terra (Carlo Delfi no Editore, 2004). Miele, libro d’arte di
Sara Rossi (tiratura limitata a 600 esemplari, Editore Gli Ori,
2005); Sergio Zanni (Edizioni Galleria Davico, 2005); À Étroubles,
avant toi sont passés… (Arti grafi che E.Duc, 2005); Alberto
Givanni. Kenya. Kibera. Bambini di strada (Casa Editrice XXVII,
2005); Generazione Anni Quaranta (Edizioni Bora, 2005);
Rodin et Claudel. Création et matière e Italo Bolano. Espressionismo blu
(Arti grafi che E.Duc, 2007); Arti Contemporanee. Günter Umberg,
Elisabeth Vary, Pietro Coletta, Carlo Bonfà (Publi Paolini Editore,
2007); Trasmutazioni liriche. Opere di Fabbriano (Casa Editrice
XXVII, 2008); Bonacolsi l’Antico - guida alla mostra (Electa,
2008).
Si ricordano infine le pubblicazioni di cui si è curato il
coordinamento editoriale: Semeghini e il Chiarismo fra
Milano e Mantova (Silvana Editoriale, 2006); Masterpieces from
the World Museums in the Hermitage (Skira editore, 2006);
Mantegna a Mantova 1460-1506 (Skira editore, 2006) e il
coordinamento scientifico di Indagando Mantegna (Publi
Paolini Editore, 2007).
Per Herbarium-Intertrade Europe,
realtà aziendale leader internazionale nel settore della Profumeria
Artistica con marchi esclusivi di “Haute Parfumerie”, cura la redazione
e la grafica di tutta la comunicazione scritta della società.
Infine è docente di
"Tutela e Valorizzazione dell’arte contemporanea "del Corso di Laurea
Specialistica in “Conservazione e diagnostica di opere d’arte moderna e
contemporanea” dell’Università degli Studi di Ferrara e di
Storia dell’arte medievale, moderna e contemporanea per il
triennio del Corso di Laurea in “Design della moda” dell’Università
Telematica Internazionale con sede in Milano.
Iscritta all’Ordine nazionale dei giornalisti pubblicisti, ha
collaborato dal 2002 al 2005 con L’Osservatore Romano e attualmente con
riviste del settore, quali Arte in, Juliet, Charta e Il Curioso.
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