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Marcello Lattari

 

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Massimo Di Stefano: " Primitivismo oggi" - presentazione della mostra "Africarte" dalla collezione Marcello Lattari - Istituzione Salvatore Fiume - Comiso (Ragusa) 22 settembre - 21 ottobre 2007

 

 

 

 

Indice editoriale

Massimo Di Stefano

PRIMITIVISMO OGGI

Un approccio agli effetti delle culture “altre” sull’arte del xx secolo

 

   Il termine Primitivismo è etnocentrico, ed è logico che sia così, in quanto esso non si riferisce alle arti tribali in sé stesse, ma all’interesse e alla reazione che esse suscitano in occidente. Il Primitivismo è perciò un aspetto dell’arte moderna e non dell’arte tribale. In questo senso il termine è paragonabile al francese japoinisme, che non si riferisce direttamente all’arte e alla cultura del Giappone, ma al fascino suscitato da questa cultura in Europa.

   Il termine Primitivismo fu usato per la prima volta in Francia nel XX secolo ed entrò formalmente nella lingua francese quale vocabolo strettamente legato alla storia dell’arte attraverso l’opera in sette volumi Nouveau Larousse Illustré, pubblicata tra il 1897 e il 1904. La definizione del Larousse rifletteva l’uso del termine tipico della metà del XIX secolo in quanto, i “primitivi” in questione, erano soprattutto gli artisti italiani e fiamminghi del XIV e XV secolo. Il significato contemporaneo di arte Primitiva, in larga misura sinonimo di oggetti tribali, è quindi una definizione propria del XX secolo. Nei primi decenni del Novecento si assistette infatti sia ad un mutamento del significato che ad un restringimento dell’ambito di quella che era considerata arte primitiva. Con la scoperta delle maschere e delle figure scolpite dell’Africa e dell’Oceania da parte di Vlaminck, Derain, Matisse e Picasso, intorno al 1906, prese l’avvio una interpretazione strettamente modernista del termine. A Parigi, il termine “art négre”, negli anni precedenti la Prima Guerra mondiale, incominciò ad essere usato per definire l’arte primitiva e avrebbe dovuto essere riservato per delimitare la sola arte africana, ma il termine fu interpretato in modo troppo libero fino a giungere ad indicare universalmente anche l’arte oceanica. Fu solo negli anni venti che gli stili di corte giapponese, egiziana, persiana, cambogiana e di altri paesi cessarono di essere chiamati primitivi e la parola finì per essere applicata principalmente all’arte tribale.

   Il progressivo cambiamento di significato del termine, dopo il 1906, fu la conseguenza di un cambiamento di gusto. Parallelamente l’arte di corte precolombiana godette di un interesse relativamente limitato tra gli artisti di avanguardia nei primi anni del XX secolo, ad eccezione di Henry Moore, dei pittori dei murales messicani e, in misura minore, di Giacometti. Picasso non era il solo a trovarla monumentale, ieratica e apparentemente ripetitiva. La capacità inventiva e la varietà percepita nell’arte tribale erano molto più nello spirito dell’iniziativa e della sensibilità modernista.

   Il termine non ha valore negativo e quando Picasso affermò che “la scultura primitiva non è mai stata superata” non vide nulla di contraddittorio. Il termine ha un significato che non è meno positivo di quello proprio di qualsiasi altra designazione estetica compresi i termini Gotico, Barocco, Impressionismo, all’origine coniati in senso dispregiativo in quanto non compresi.

   Ad eccezione di Gauguin, nessun artista del XX secolo mostrò un serio interesse artistico per l’arte tribale, sia dell’Oceania che dell’Africa. Gauguin è considerato il punto di partenza dello studio del Primitivismo dell’arte moderna, ma il suo ruolo è stato a lungo frainteso o interpretato in modo troppo semplicistico poiché il suo Primitivismo era più filosofico che estetico, aveva aperto nuove vie di accordo fra il primitivo e il modo di concepire la creatività moderna. Le manifestazioni dell’arte primitiva erano diventate un vero e proprio strumento per la riappropriazione della propria identità come un processo di rinnovamento del linguaggio delle forme che, giudicando ormai esaurite tutte le possibilità di emozioni visive tradizionali, sembrava voler ritornare alle origini stesse dell’esperienza creativa. Sappiamo che alla base del rinnovamento radicale dell’arte del XX secolo, a fianco di una linea positivistica c’era anche una forte matrice irrazionale dovuta soprattutto ai contrasti sociali. Nei primi decenni del secolo si esaltavano i misteri, l’esoterismo, l’individualismo, l’empatia e tutte quelle tendenze magico-simboliche che sfociavano in nuove ondate di spiritualismo, spesso carico ambiguamente di sensi, si andava verso la scoperta di civiltà lontane e remote, il tutto filtrato da una forte soggettività.

   L’interesse per l’arte primitiva, iniziato con Van Gogh e Gauguin, crebbe da allora di anno in anno: l’idea del primitivo era profondamente penetrata nella coscienza degli artisti europei e fin dal 1904, il pittore Vlaminck si interessò all’arte primitiva,  e da Vlaminck questo interesse passò a Derain e da Derain a Matisse. Già prima del 1907 Derain e Matisse cominciarono a collezionare sculture negre e, secondo Gertrude Stein, Picasso ebbe il primo contatto con la scultura africana grazie a Matisse. Si stabiliva così una catena ininterrotta di influenze che percorrerà tutto il XX secolo. Lo spostamento dal piano percettivo a quello concettuale iniziato da Gauguin, portò Vlaminck ad acquistare una maschera Fang che venduta all’amico Derain, divenne la principale icona tribale del Primitivismo del XX secolo. Essa divenne così famosa che il mercante d’arte d’avanguardia Ambroise Vollard ne fece fondere una replica in bronzo.

   Il fondamentale apporto che il Primitivismo ha dato alla ricerca artistica va tuttavia diviso in due momenti essenziali, il primo è quello che si inserisce perfettamente nel cosiddetto periodo decadente-simbolista, riferito all’esperienza romantica di Gauguin che oltre a rivoluzionare la sua ricerca pittorica rivoluzionerà anzitutto la sua vita in termini filosofici. Il secondo momento è quello relativo alle esperienze di Matisse e di Picasso che affronteranno la questione in una versione stilisticamente più perentoria e in un certo senso emotivamente meno partecipe. L’interesse si sposterà quindi dal mito della fuga dall’occidente, per giungere a nuove considerazione di tipo formale.

   In Picasso, la strada che lo condurrà al Cubismo, se da una parte sarà segnata dagli insegnamenti di Cezanne, dall’altra, forti saranno le sollecitazioni del Primitivismo. La visita fatta nel 1907 al Musée d’Etnographie del Trocadéro rivelò a Picasso un significato ed una dimensione dell’arte primitiva che fino a quel momento aveva ignorato: aveva scoperto che queste maschere, queste sculture erano prima di tutto “cose magiche”, “mediatrici”, “tramiti” tra l’uomo e le forze oscure del male, potenti al pari degli spiriti “minacciosi” presenti nel mondo, e “ strumenti” ed “armi” con cui liberare se stessi dai pericoli e dalle ansie che affliggono l’umanità. Nel 1907 la sala africana non era, come la si potrebbe immaginare oggi, una collezione classificata secondo un metodo ed un criterio scientifico, con indicazioni chiare ed esplicative, ma era molto più simile ad un piccolo magazzino sovraffollato, dove alcune delle più stupefacenti produzioni mai concepite dallo spirito umano erano state frettolosamente collocate. Tuttavia questo universo sempre caratterizzato dal sacro, non presentava effigi di un passato popolato da divinità vendicative e da mostri demoniaci. Esso invece univa casualmente spiriti sotterranei, antenati, immagini benevole di maternità e feticci protettivi. Come universo quindi permetteva di cogliere il mescolarsi del sacro con l’esperienza dell’uomo, l’intersecarsi del rituale con la vita di ogni giorno. Esso proponeva un altro mondo, intermedio ma credibile, vivente ed umanizzato: un invito al sovrannaturale ma in certo qual modo tenuto sotto controllo. Dobbiamo considerare Picasso, nell’ambito dell’avanguardia artistica, come colui che ha affrontato nel modo più significativo il rapporto con l’arte primitiva, l’artista che ha saputo cogliere il problema di come la visione della vita dei primitivi potesse in qualche modo modificare la cultura moderna. Questa nuova visione del mondo era dunque la fusione di un’ambivalenza: Cezanne e il Primitivismo, l’unione di queste due posizioni antitetiche genererà uno sguardo allargato sulla cultura di tutti i tempi e di tutti i paesi.

   La retrospettiva che Parigi dedica nel 1906 a Cezanne, dopo la sua morte, diviene fonte di ispirazione per la nuova generazione di artisti d’avanguardia. Anche se Cezanne non riveste un ruolo predominante nella scoperta del Primitivismo è però indubbiamente decisivo nell’aver reso possibile agli artisti più giovani di comprendere l’importanza dei valori plastici che le sculture antiche posseggono: Cezanne fece da guida verso un nuovo equilibrio tra disegno superficiale e modellato. Le drastiche semplificazioni della forma, la sua abilità nel raggiungere effetti scultorei per mezzo di piani sfaccettati di colore, aprono nuove possibilità agli artisti ponendoli di fronte ad un’inedita sfida. Il nuovo interesse acquisito di conseguenza per la forma scultorea, presente nell’opera di Picasso e di Bracque, è spiccato anche nell’opera di Vlaminck e di Matisse. Sembra che questi due artisti si siano accostati quasi contemporaneamente alla scultura africana, ma le motivazioni di Matisse sono di gran lunga più significative e importanti di quelle di Vlaminck. L’interesse di Matisse per l’arte africana si accentuerà nella primavera del 1906 in occasione del suo viaggio in Nord-Africa, questo momento coincideva con l’ultima fase del cosiddetto periodo Fauves, quindi un periodo di transizione tra le sue prime opere direttamente percettive, essenzialmente post-impressioniste e i suoi stili successivamente più sintetici. Fu quindi solo dopo la conclusione del ciclo Fauves, quando la sua pittura arrivò ad essere più scultorea e i suoi colori sempre meno intensi, che Matisse fu in grado di rivalutare le sue prime reazioni a Cezanne e di capire in che modo potesse fare suoi i principi plastici dell’arte tribale. In Vlaminck la rivalutazione del Primitivismo avviene in senso romantico, in un atteggiamento simile a quello di Gauguin, sempre mirato alla ricerca di una espressività istintiva e di una “barbara impetuosità”. Anche Derain muove dalla lezione di Gauguin rivolgendosi però alla scultura, come è leggibile nelle prime esperienze dirette sulla pietra risalenti al 1907.

   Nella cultura moderna, a differenza dal passato, l’atteggiamento verso il mondo primitivo si trasferisce su un piano più critico. Potremmo dire che l’interesse si sposta da una “vita primitiva” a un “arte primitiva”. A ciò si giunge perché mai come nel XX secolo, avviene nell’arte un radicale cambiamento prima che nell’esperienza estetica, nel pensiero che la presiede. L’influenza inoltre delle prime raccolte etnografiche pubbliche presenti nelle grandi città europee accrescono e sono in linea con il mondo esoterico di quegli anni, che confluiscono in una vera e propria coincidenza tra arte e vita.

   In Germania gli artisti espressionisti della Brucke e del Blaue Reiter furono in grado di coprire, accanto ai loro studi, le fonti esotiche dalle quali erano attratti. Paul Klee dichiarò che: “Nell’arte si può cominciare anche da capo, e ciò è evidente, più che altrove, nelle raccolte etnografiche.”

   Dobbiamo agli esploratori, ai coloniali e agli etnologi l’arrivo in occidente di questi oggetti, ma dobbiamo soprattutto alle convinzioni dei primi artisti moderni, la loro promozione ed elevazione allo status stesso di arte, dal rango quindi di curiosità e manufatti artigianali a creazioni artistiche di altissimo livello. La convinzione propria da parte degli artisti dell’avanguardia che ci fosse qualcosa da apprendere dalla scultura dei popoli tribali, un’arte le cui forme e le cui concezioni erano diametralmente opposte ai canoni estetici dominanti, poteva essere intesa dalla cultura borghese solo come un attacco rivolto ai suoi valori.

   Il fatto che l’ammirazione degli artisti moderni per questi oggetti tribali fosse diffusa negli anni 1907-1914 è ampiamente documentato da fotografie degli interni degli studi, da citazioni e, naturalmente dalle loro stesse opere. Artisti quali Picasso, Bracque, Matisse, Leger, Brancusi, Giacometti, Modigliani, erano consapevoli della complessità concettuale e della raffinatezza estetica della miglior arte tribale. La semplicità era solo apparente, la riduzione all’essenziale non era, come si credeva generalmente, ingenuità, ma il frutto di una elaborazione meditata, un’economia che implicava la distillazione della complessità. Tutta l’arte moderna trarrà insegnamenti da queste sorgenti di cultura: la sintesi, il riduzionismo caratterizzeranno il XX secolo. Il salto di qualità compiuto dai Fauves, dai cubisti, dall’espressionismo tedesco, dal plasticismo primario di Brancusi e Giacometti, da Dada e Surrealismo consiste proprio dall’aver saputo comprendere istintivamente la qualità artistica dell’arte primitiva, anche se i valori formali che essi vi scorsero, nulla avevano a che vedere con le reali intenzioni dei loro autori. Le maschere dell’Africa e dell’Oceania offrivano però agli artisti dell’avanguardia quelle soluzioni di sintesi plastica raggiunta attraverso la scomposizione dei piani che stavano perseguendo ognuno secondo la propria individualità, dopo l’esperienza di Cezanne. Gli espressionisti tedeschi offrivano ad esempio, la deformazione del segno, la disimmetria e l’uso simbolico del colore primitivista ma attingevano anche dalle fonti dell’arte popolare dell’Europa Orientale.

   I cubisti mostrarono una netta preferenza per l’arte africana a differenza dei surrealisti i quali si dichiararono più entusiasti per gli oggetti provenienti dall’Oceania. Nella “carta surrealista del mondo”, l’isola di Pasqua è riprodotta grande quasi quanto l’Africa. Questa netta e precisa diversità di preferenza fu forse determinata dalla relativa disponibilità di oggetti provenienti da quelle zone, ma si pensa che derivasse in primo luogo dalle fondamentali differenze tra Cubismo e Surrealismo.

   Il Cubismo era ancora radicato e legato al mondo del visibile, il Surrealismo, come molta arte oceanica (almeno in Melanesia), era rivolto soprattutto verso il mondo dell’immaginazione, verso la rappresentazione del fantastico piuttosto che dalla realtà visibile. Il motivo di scelta da parte dei cubisti per le opere africane è dato dalla tridimensionalità delle sculture mentre, al contrario, si rimane colpiti dalla relativa piattezza e dalla “incorporeità” di certe sculture oceaniche poiché l’occhio viene attratto dai contorni esterni o dal disegno o dalla pittura che ne decora la superficie. Nella scultura oceanica non si ha la sensazione di quella massa scultorea tattile che costituisce l’essenza della maggior parte della scultura africana. Molte opere oceaniche sono realizzate con la corteccia, con il fango o con altri materiali scultorei “teneri”, “malleabili”, che sono già di per sé un indice di tale pittoricità. La migliore scultura africana è di solito interessante vista da ogni angolatura, la statua Bamana, ad esempio, ci obbliga ad ammirarla da ogni lato, mentre spesso la pittoricità degli oggetti melanesiani limita la prospettiva dell’osservatore. Nella scultura africana l’interno della massa non sembra mai plasticamente inerte, così come in molte sculture egizie e in certi altri stili arcaici. Allo stesso modo dello scultore arcaico, l’artista tribale considera la frontalità come punto di partenza ma, diversamente dal primo, va oltre. Gli scultori oceanici sacrificano la massa lavorando in modo pittorico su di un unico piano, riuscendo però a far gioco dello spazio in cui si muovono le figure. Nella scultura africana lo spazio viene misurato piuttosto che modellato e, come nell’arte classica, serve essenzialmente per mettere in rilievo i solidi. Nell’arte della Melanesia, lo spazio diventa una componente estetica dell’artista. La scultura africana viene definita “tattile”, quella Oceanica “visiva”.

   La scultura dell’artista surrealista Max Ernst, del 1934, “Testa d’uccello” è sorprendentemente somigliante ad una maschera africana del popolo Tusyan, mentre la scultura in bronzo del 1926-1930 “Figura” di Lipchitz, ed il suo operato in genere è collegabile con l’arte dei Dogon. Alcune tipiche sculture oceaniche come i Malanggan della Nuova Irlanda, condividono con le opere di Matta un linguaggio di forme aperte e un disegno da cui rifuggono sia i cubisti che gli artisti africani. Matta come Ernst e altri artisti surrealisti fu un collezionista di queste sculture e, come i Malanggan, le figure di Matta sono assalite da animali mostruosi. L’arte oceanica e della costa nord-occidentale tende verso l’espressione del rituale, è simbolicamente narrativa. Tutta l’arte africana, data la sua tendenza alla frontalità e alla simmetria è più iconica che narrativa. Nel “Mostro melo” Calder, molto vicino ai surrealisti degli anni trenta, crea con dei rami di melo una scultura assolutamente insolita nella sua opera, che rispecchia in pieno il fascino esercitato su di lui da una figura Imunu. Come la figura Imunu, il cui carattere “serependico” doveva per forza fare presa sul gusto d’avanguardia, il pezzo di Calder è creato in gran parte con oggetti trovati che, dopo essere stati scelti, sono stati modificati solo minimamente. Sia Calder che l’artista della Nuova Guinea individuarono il mostro ancora latente nel materiale grezzo della natura. Questa acuta preveggenza esercitava un fascino particolare sui surrealisti che avrebbero definito la figura Imunu e il “Mostro melo” come “oggetti trovati aiutati”.

   Il tema dei mostri nella natura verrà anche affrontato da Klee e Mirò ma il Minotauro di Picasso, sempre negli anni trenta, bestia nella testa invece che nel corpo, rivela una verità più inquietante: le reali mostruosità provengono dalla mente dell’uomo, non dalla natura.

   La tendenza modernista, accentuata in seguito alla familiarità con le sorprendenti proporzioni di certi oggetti tribali, portano Giacometti a realizzare delle figure allungate.  E’ probabile che Giacometti abbia visto la statua Nyamwezi della Tanzania appartenuta ad Andre Lefebvre, uno dei grandi collezionisti di arte moderna, ma l’artista conosceva anche bene, per esempio, le figure Etrusche di Villa Giulia a Roma.

   Riconoscere in una maschera polimaterica la stessa importanza che in altra forma possiedono l’Afrodite di Prassitele o la Gioconda di Leonardo, ha avuto per la cultura occidentale implicazioni di portata grandissima: l’estetica tradizionale, basata essenzialmente sui concetti del “bello” e del “vero”, sin dai tempi di Platone e di Aristotele, vede travolti i suoi valori nel momento in cui l’arte diventa una qualità non assoluta, ma relativa alle funzioni dell’oggetto e alla cultura della società che la produce. Analogamente, riconoscere dignità dell’arte ad un oggetto funzionale realizzato da un anonimo artigiano di una qualunque cultura “primitiva”, significa abolire la tradizionale distinzione tra opera d’arte unica, irripetibile, e manufatto artigiano, riproducibile all’infinito. L’espressione, la volontà concettuale, hanno progressivamente preso il sopravvento sulla forma, ancora vincolante sino alla metà del secolo, nonostante l’automatismo e la liberazione incontrollata dell’inconscio proposti da Dada, dal Surrealismo, dall’Informale, la ripetitività e la riproduzione in serie sono diventate un elemento costitutivo dell’operare artistico.

   E’ sempre Picasso ad introdurre in occidente l’unione di materiali eterogenei. L’origine di tali commistioni gli era nota attraverso la conoscenza delle arti tribali che realizzavano le sculture con tessuti, corde, rafia, corteccia, metallo, fango e “oggetti trovati” insieme al legno e ad altri materiali. L’uso che Picasso faceva dei materiali era personalissimo: estraeva il principio insito in essi per poi appropriarsene e servirsene per i propri fini. L’impiego di tali materiali, comunque, sia da parte dei surrealisti che da parte dei dadaisti, come ad esempio la “Maschera” di Janco, rifletteva un conscio desiderio di evocare i prototipi primitivi. Anche in Italia Medardo Rosso, Arturo Martini, Marinetti e il Futurismo, fino a Melotti, Mirko, Consagra, fra gli altri, subiscono il fascino del Primitivismo. In America nel 1950 lo scultore David Smith realizza l’opera “Tanktotem I”, prima di una lunga serie di opere che avrebbe chiamato Totem, lavori a metà strada tra la figura umana e il segno astratto. L’interesse per il Totem e il trattamento del materiale in vista della creazione di un emblema o di un segno non sono problematiche che appartengono unicamente a Smith ma all’intera generazione di cui faceva parte, quella cioè degli “espressionisti astratti”. La maggior parte di loro in pittura o in scultura ha realizzato, verso la fine degli anni quaranta, oggetti che qualificavano come Totem o i cui titoli lasciavano intravedere un interesse per le pratiche totemiche. In scultura Louise Nevelson, Isamu Noguchi, Louise Bourgeois, in pittura Pollock, Gottlieb, Rothko, Still, Newman, ribadivano attraverso la frontalità, la centralità, la grande dimensione, la natura, il mito del primitivo. In Europa Dubuffet prima e il gruppo Cobra poi, estenderanno il desiderio di sconfinamento verso nuovi territori mediante gli impulsi liberatori dell’arte primitiva.

   L’attenzione verso i rituali estatici, le cerimonie sociali, le iniziazioni, i tatuaggi, l’uso del corpo come tramite per altri piani dell’esistenza, pratiche legate ai popoli primitivi, viene introdotta nell’arte in Europa ed in America, dopo la seconda guerra mondiale, da John Cage, Allan Kaprow, dal gruppo Fluxus, da Ives Klein, da Piero Manzoni, influenzati dal pensiero di Duchamp e dai suoi gesti dadaisti, come il taglio dei capelli a forma di stella. In America fu Pollock a cambiare radicalmente i rapporti tra corpo e pittura. In Giappone il gruppo Gutai incentrava processi creativi spesso sottoforma di “azioni”: Shiraga “dipingeva” le proprie tele con i piedi mettendo letteralmente il proprio corpo all’interno dell’opera. Allan Kaprow e Jim Dine organizzavano “happenings”, eventi in cui le tele venivano ripensate come spazi tridimensionali. Klein usava il corpo delle sue modelle come fossero “pennelli”. Claes Oldemburg e Carolee Schnemann rendevano partecipe il pubblico del processo creativo dei loro happenings. Georges Maciunas, Nam June Paik, Yoko Ono rivendicavano con gli eventi Fluxus la forza espressiva dell’elementare, relazionando la realtà in quanto tale e la sua capacità di produrre spettacolo. L’Azionismo viennese inscenava violente azioni in cui il corpo “rituale” umano ed animale era protagonista estremizzando l’orgiastico e il tragico, analizzando le radici del rapporto tra carne e spirito, tra sacralità e ritualità sacrificale.

   Il rapporto tra individuo e collettività, tra personale e politico è alla base anche dell’operatività della Body Art. Negli anni settanta l’artista francese Gina Pane nella performance “Azione sentimentale” si fa penetrare delle spine di rosa nelle vene del braccio e con una lametta si incide il palmo della mano facendone sgorgare sangue. Più tardi l’uso delle nuove tecnologie porterà alcuni artisti ad esplorarne le possibilità espressive per riformare o deformare il proprio corpo, come le protesi di Sterlac o i segni della chirurgia plastica sul corpo e sul viso di Orlane.

   Il termine primitivismo assume sempre di più, intorno alla metà degli anni sessanta, la connotazione di primario, di primarietà. Questa nuova fase dell’arte internazionale si contraddistingue per un superamento radicale dei limiti tradizionali, del fare pittura e scultura, per un rapporto  più stretto fra arte e ambiente, per l’utilizzazione di materiali direttamente prelevati dalla realtà urbana e naturale: dal minimalismo di Carl Andre e Robert Morris, alle azioni “sciamaniche” di Beuys, - aspirazioni al recupero di quella armonia primordiale perduta, di denuncia ecologica, di invito al risveglio sociale - agli interventi di Land Art di Smithson e Heizer, ai passaggi rituali di Richard Long segnati dalle pietre, fino alle installazioni dell’Arte Povera di Merz, Kounellis, Pistoletto, Calzolari, Penone, Boetti, dove l’artista tende alla dilatazione della sfera del sensibile attraverso la materia in cui si scopre come strumento di conoscenza, per una maggiore acquisizione apprensiva della natura.

   Pino Pascali espone nel 1968 all’Attico di Roma oggetti arcaici: la mostra è l’ambientazione scenica del sogno, dell’ironico primitivismo di Pascali che sogna un ritorno allo stato di natura. Sogna se stesso vestito solo di rafia come un selvaggio, sogna Cita la scimmia di Tarzan. Sogna il suo dialetto pugliese, sogna un ponte costruito con lana d’acciaio intrecciata, delle liane e due trappole, una aperta e una chiusa, anch’esse di lana intrecciata. Sempre all’Attico di Roma nel 1970 Eliseo Mattiacci realizza il “Percorso compressore e terra”, un rito-natura primordiale, una ricerca del tempo perduto e del tempo ritrovato attraverso la materia organica, l’elementarità, la plasticità allo stato puro. Nicola Carrino (collezionista della prima ora di sculture tribali) realizza cumuli di materia ed elementi primari formalmente ripetuti con richiami al segno scalare dello Ziggurat.

   Con il Neoespressionismo tedesco e la transavanguardia italiana, tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta, nell’era di crisi del post-industrialismo e del concetto di Modernismo, vi sarà un forte ritorno alla pittura figurativa spesso ispirata ai segni arcaici e primordiali. Baselitz, Penck, Lupertz, Kirkeby definiti anche “Nuovi Selvaggi”, riprendono la grande tradizione dell’Espressionismo, fatta di colori violenti, di situazioni esistenziali di luoghi che  la pittura e la memoria rendono mitici. Cucchi, Chia, Clemente, Paladino, De Maria vogliono essere un movimento che attraversa tutte le avanguardie per cogliere, sottrarre, rubare da esse tutto ciò che serve alla realizzazione delle loro immagini, pratica portata al suo massimo grado proprio da Picasso, artista emblema del XX secolo.

   Negli Stati Uniti il Graffitismo di Haring e Basquiat segna il paesaggio urbano e metropolitano attraverso immagini simboliche e arcaiche, tradotte e usate in termini di nuovo tribalismo. Nell’era della globalizzazione in cui tutto viene ridotto ad un’unica dimensione, a fronte quindi di un appiattimento delle identità culturali, vediamo sorgere ancora atteggiamenti ed espressioni di culture spontanee che rivendicano una originalità perduta.

Comiso, 22 settembre 2007

Massimo Di Stefano

 

Bibliografia:

W. RUBIN, Primitivismo nell’arte del XX secolo, Arnoldo Mondadori, Milano, 1985.

A.MESSINA, Le muse d’oltre mare. Esotismo e primitivismo nell’arte contemporanea, Einaudi, Torino, 1993.

J. CLIFFORD, I frutti puri impazziscono. Etnografia, letteratura e arte nel secolo XX, “Gli archi” Bollati Boringhieri, Torino 1999.

 

 

 

 

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