Biografia dell'autore
James Clifford
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
James Clifford (1945) è un antropologo statunitense.
Insegna "History of Consciousness" presso l'Università della California,
Santa Cruz. Nell'aprile 1984 ha partecipato, insieme ad altri studiosi,
al seminario di Santa Fe, da cui poi è stato ricavato il libro Writing
Culture.
Nel 1988 ha scritto il libro The Predicament of Culture: Twentieth
Century Ethnography, Literature, and Art, tradotto in sette lingue.
La cultura come testo
Con l’opera di James Clifford l’antropologia entra nella sua fase
postmoderna e decostruzionista. Il concetto di cultura viene
definitivamente messo da parte, e il vero oggetto dell’antropologia è
l’antropologo stesso, o meglio il suo io narrante. Questa rivoluzione
era già nell’aria con Clifford Geertz e la sua attenzione alla
descrizione dell’Altro attuata dall’antropologo, ma con Clifford l’altro
diventa la rappresentazione antropologica stessa. Clifford privilegia
quindi nell’antropologia la sola parte che finora è stata perlopiù
ignorata, quella cioè della scrittura e della costruzione del testo
attuata dall’antropologo nel suo studio. È lì che avviene la costruzione
dell’altro, che dipende dai dispositivi testuali e dalle strategie
retoriche adottate. La scrittura etnografica secondo Clifford è
determinata da:
- il contesto;
- la retorica, cioè da specifiche convenzioni espressive;
- le istituzioni, poiché la scrittura è influenzata da particolari
discipline e destinatari;
- il genere letterario, solitamente distinguibile da un romanzo o un
resoconto di viaggio;
- la politica;
- la storia.
Queste variabili determinano quindi la produzione di testi che Clifford
definisce altresì finzioni etnografiche, intendendo con questa
espressione non che una etnografia è falsa, bensì che è stata costruita,
fabbricata a tavolino e come tale è parziale perché inevitabilmente
basata sulla selezione e l’esclusione. Tutto questo perché, secondo
Clifford, non esiste un elemento preesistente alla scrittura come la
cultura, che è semplicemente una finzione etnografica. Nella sua opera
principale, Scrivere le culture (1986), Clifford teorizzava queste idee
attuando una critica dell’oggetto di studio classico dell’antropologia –
il primitivo, l’esotico – e rendendo il testo l’unica cosa che conta,
mentre la cultura è ridotta a una true fiction, una finzione reale, una
costruzione dell’antropologo.
Scenari postmoderni
Clifford introduce la corrente postmoderna in antropologia. Non va
dimenticato che il concetto di cultura è legato a doppio filo alla
modernità e come tale non può non essere coinvolto in questa critica
decostruzionista. Se il postmoderno, come ha detto Jean-François Lyotard,
è caratterizzato dalla fine delle grandi narrazioni, allora la cultura,
che è stato lo strumento delle grandi narrazioni attraverso le quali la
modernità ha messo in scena l’Altro, è il primo oggetto della critica
postmoderna. Il concetto di cultura come insieme complesso è rifiutato,
perché tale insieme non può più essere oggetto diretto di esperienza ma
non è altro che un artificio costruito dall’antropologo. Sicuramente tra
i meriti di Clifford sta quello di aver svelato i particolari artifici
narrativi proprio dell’etnografia, dall’uso della terza persona al
riscorso al genere maschile per indicare gruppi umani: accorgimenti
retorici che depurano l’esperienza sul campo dell’antropologo da
elementi soggettivi e la incanala in una serie di sterili convenzioni
espositive. Tuttavia il difetto di Clifford sta nell’aver reso questo
difetto dell’antropologia un pregio, legittimandolo, affermando che la
riduzione dell’Altro a un testo etnografico, lo spostamento dell’oggetto
antropologico dall’altro all’io narrante è positiva. Non si può fare a
meno di rivedere nuovamente apparire una forma estrema di etnocentrismo,
che paradossalmente ricompare all’interno di una delle tesi più
relativiste mai tratteggiate. L’Altro viene infatti ridotto a una mera
proiezione dell’osservatore, è una semplice costruzione basate sulle
categorie cognitive proprie e del tutto indifferente alle peculiarità
dell’Altro. Clifford sembra proporre come soluzione un’antropologia
dialogica dove il testo non è più solo un prodotto dell’antropologo ma
il frutto di un incontro tra osservatore e osservato; questa soluzione
appare tuttavia difficilmente applicabile viste le rigide premesse poste
da Clifford.
Pubblicazioni
1986 Writing culture: The Poetics and Politics of Etnography, Berkeley,
University of California Press (ital: Scrivere le culture, Meltemi,
1998)
1988 The Predicament of Culture: Twentieth Century Ethnography,
Literature, and Art (ital: I frutti puri impazziscono, Bollati
Boringhieri, 1999)
1997 Routes: Travel and Translation in the Late 20th Century (ital:
Strade, Bollati Boringhieri, 1999)
2003 On the Edges of Anthropology (ital: Ai margini dell'antropologia,
interviste, Meltemi Editore, Roma, 2004)
|